mercoledì 23 febbraio 2011



Il popolo non è un bambino...




In questi giorni abbiamo assistito, e continuiamo a farlo, alle manifestazioni dei Popoli a noi vicini e delle risposte ottenute dai loro capi di stato ("dittattori illuminati" per l'occidente, visto che non hanno mosso un dito fino a quando le immagini non sono passate per la tv e soprattutto in rete)...
Quando parlo di "vicini", non bisogna fermarsi alla sola prossimità geografica, in termini di collocazione territoriale, ma bensì iniziare a leggere la parola "vicino" ed attribuire un significato più forte... Non basta la solidarietà nei confronti dei nostri vicini, dovremmo piuttosto iniziare ad agire con la stessa voglia di cambiare assieme ed in meglio le cose, senza lasciare in mano ad un LeaderSegretarioDiPartitoOchiPiùNeHaPiùNeMetta le nostre scelte quotidiane ed il nostro agire politico.

Intendiamoci, non sto parlando di una Rivoluzione... da noi non si usa, la nostra scelta è già stata presa dai nonni (e assimilata fin troppo bene dai figli e dai nipoti...) che comandano nel nostro paese: "il bidet"...

Arturo Escobar, Antropologo Colombiano, studia e parla da tempo dei "Movimenti Sociali"; ossia, quel potenziale auto-organizzativo che c'è e si manifesta quotidianamente in ogni società, attraverso l'azione degli attori sociali (cittadini).
Escobar scrive: "Il "vecchio" è spesso associato ad analisi della modernizzazione o della dipendenza; alle politiche incentrate su attori tradizionali come i partiti, le avanguardie e la classe operaia in lotta contro il controllo dello Stato; e a una visione della società come composta da strutture più o meno immutabili e relazioni di classe che solo grandi cambiamenti (per esempio imponenti schemi di sviluppo o sconvolgimenti rivoluzionari) possono modificare in maniera significativa. Il "nuovo" al contrario, è evocato in analisi basate non su strutture ma su attori sociali; la promozione di stili politici democratici, egualitari e partecipatori; la ricerca non di grandi trasformazioni strutturali ma di costruzioni di identità e di maggiore autonomia attraverso la modificazione delle pratiche e delle credenze quotidiane" - e poi aggiunge - "Il declino dei vecchi modelli è verosimilmente la conseguenza del fallimento dello Stato sviluppista nel produrre miglioramenti stabili e dei meccanismi politici, sia di Sinistra che di Destra, per affrontare questo fallimento. [...] Il riconoscimento dell'esistenza di un dominio politico subalterno è la base per sviluppare concezioni alternative sulla coscienza e sulla mobilitazione popolare, indipendenti dalle politiche convenzionali. [...] I movimenti sociali necessariamente operano entro il sistema dominante nell'interpretazione e nel soddisfacimento dei bisogni. Ma tendono effettivamente a politicizzare queste interpretazioni rifiutando di vedere i "bisogni" come meramente "economici" o "domestici"".


(Arturo Escobar, "Immaginando un'era di postsviluppo", in Oltre lo sviluppo, Meltemi, Roma 2003. )


In Altre Parole: "Il popolo non è bambino... se si auto-organizza!"


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Oggi voglio ricordare: Giuseppe Piani.



Uomo, e carabiniere, ucciso dalla mafia il 29 dicembre 1967.

Aveva 38 anni.

Giuseppe nacque a Santa Teresa di Riva (Messina) nella frazione Misserio il 6 aprile del 1929. A 18 anni partì militare e successivamente si arruolò nel corpo dell'arma carabinieri. Per alcuni anni visse e prestò servizio a Gaeta, poi a Bergamo, a Genova, a Milano, a Salerno e successivamente venne a trasferito a Torre del Greco (Napoli).

E' il 29 dicembre 1967, che avvenne la tragedia che troncò la giovane vita di Giuseppe Piani. Il carabiniere scelto Giuseppe Piani assieme al brigadiere Antonio Pizzo, entrambi appartenenti squadra di polizia giudiziaria della Tenenza di Torre del Greco, alle ore 16,30 ricevevano una telefonata anonima che segnalava la presenza in una barberia della città di un noto pregiudicato di nome Giuseppe Cosenza, ricercato a seguito di un ordine di carcerazione firmato dall'autorità giudiziaria. Poiché erano giorni di festa e non essendo disponibili auto di servizio si recavano sul posto con la macchina di proprietà del carabiniere Piani, una Fiat 500. Rintracciavano ed arrestavano il ricercato, il quale, dapprima non opponeva resistenza ma in seguito durante il tragitto fino alla caserma, per procurarsi la fuga, fulmineamente estraeva ed esplodeva al loro indirizzo diversi colpi di una pistola, che nascondeva nella giacca. Il brigadiere Pizzo, raggiunto da cinque colpi, rimaneva gravemente ferito, mentre il carabiniere scelto Piani Giuseppe, che era alla guida del mezzo, veniva colpito da 3 colpi alle spalle riportando lesioni gravissime agli organi interni, decedendo subito dopo all'arrivo al nosocomio per emorragia interna.

lunedì 14 febbraio 2011

Se non ora QUANDO?





In tutta Italia, e nel mondo, le donne italiane (e gli amici delle donne) sono scese in piazza, unite come non accadeva da tempo, per descrivere la loro situazione quotidiana e rivendicare la loro dignità… il tutto attraverso i loro bellissimi volti e le loro voci squillanti. Ecco cosa è stato detto in centinaia di piazze e per strada con il seguente appello.

“In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si è scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani. Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere più civile, più ricca e accogliente la società in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di sé, della libertà e della dignità femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che – va ricordato nel 150esimo dell’unità d’Italia – hanno costruito la nazione democratica. Questa ricca e varia esperienza di vita è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità. E ciò non è più tollerabile. Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici. Questa mentalità e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione. Così, senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza. Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni. Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale. Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e diciamo agli uomini: se non ora, quando? è il tempo di dimostrare amicizia verso le donne”.


Fonte: Se non ora quando



In Altre Parole: “Siamo con voi… e scusate il ritardo”.



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Oggi voglio ricordare:

Mario Malausa, Silvio Corrao, Calogero Vaccaro, Pasquale Nuccio, Eugenio Altomare, Giorgio Ciacci e Marino Fardelli.

Sette uomini delle forze dell’ordine uccisi dalla mafia, il 30 giugno 1963, nella strage di Ciaculli (Palermo). La strage fu una delle più sanguinose stragi ad opera della mafia durante gli anni sessanta che concluse la prima guerra di mafia della Sicilia del dopoguerra. Ebbe luogo nella borgata agricola di Ciaculli a Palermo con un’Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivo.





venerdì 11 febbraio 2011

La donna in Italia

Abbiamo tanti concorsi di bellezza per le donne e la donna mediterranea è molto apprezzata dagli uomini, ma solo per la bellezza. La triste realtà del nostro Paese è che la donna è profondamente discriminata: nel lavoro (vedi le assunzioni e il salario) e per quel che riguarda il potere decisionale e la partecipazione (in ambito lavorativo, politico e domestico). Quando parlo di “potere decisionale e partecipazione in ambito domestico”, giusto per fare un esempio, ponetevi la seguente domanda: “In una famiglia italiana chi prende le decisioni più importanti? – ed ancora - Quanto tempo dedica l’uomo, quotidianamente, alla cura della casa e dei figli?”. Potete già immaginare le risposte.

Mentre in Italia si continua a parlare del “Caso Ruby” (non solo in Italia), e poco si riflette e si dibatte sulla mercificazione del corpo della donna, in silenzio la si continua a discriminare quotidianamente. La donna considerata come un oggetto da usare e come un costo da evitare. Credo possa bastare per ritenere tutto ciò una degenerazione ed un fallimento del sistema che abbiamo creato e che continuiamo a proporre come unica via… parlo dell’attribuzione di un valore monetario a tutto ciò che ci circonda, compreso il nostro stesso corpo, e dell’efficienza economica esasperante … anche se, come sentirete e vedrete nell’intera trasmissione di Presa Diretta, delle economiste sostengono che con il superamento della discriminazione del genere femminile, nel mondo del lavoro, l’Italia può aumentare la propria crescita economica. Sia ben chiaro che io sono per il superamento vero, e non illusorio (soubrette al “potere”), della discriminazione della donna a prescindere dal fatto che ciò possa portare un aumento del Pil, perché come sostengono altri studi e ricerche a livello internazionale il Pil è un indicatore che non misura la qualità della vita…

Non aggiungo tante altre parole, ma vi invito a guardare l’intera puntata di Presa Diretta dal titolo “Senza Donna” al seguente Link.

Oppure su YouTube: Link 1, Link 2, Link 3, Link 4, Link 5, Link 6, Link 7, Link 8.

In Altre Parole: “L’Italia non è un Paese per donne… e con pochi amici delle donne…”


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Oggi voglio ricordare: Pietro Cannizzaro e Giuseppe Tesauro

Uccisi dalla mafia, il 30 giugno 1963, con l'esplosione di un auto imbottita di tritolo a Villabate (Palermo).





sabato 5 febbraio 2011


Temperiamo le matite per l'Acqua Pubblica...



La storia che vedrete e sentirete, nel video che ho postato sopra, è una fantastica vittoria del popolo Boliviano. E visto e considerato che le vittorie del popolo sono quasi sempre considerate come uno smacco al potere, in pochi parlano di questa splendida vittoria... i media, ed in Italia più che mai (tranne pochissime eccezioni), sono la voce del potere, ma per fortuna abbiamo la rete per prendere consapevolezza ed agire.

In Italia l'acqua è già privata in tanti comuni (Enna, la mia città, è tra questi), mentre sugli altri comuni si allungano le mani delle solite Società per Azioni... con un unico obiettivo: profitto.

Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua, formato da cittadini attivi, responsabili e coscienti del fatto che l'acqua è una risorsa che non vede avere un padrone, da anni è in strada tra la gente per sensibilizzare la gente sulla battaglia per l'acqua pubblica. Dopo il fantastico successo della Raccolta Firme per il Referendum (1 milione e 400mila firme), adesso si continua con la sensibilizzazione e l'informazione per raggiungere tutti i cittadini italiani e invitarli ad andare a votare per il Referendum che si terrà in questa primavera.

Tenetevi informati su questa battaglia, tramite questo blog e sul sito del Forum italiano dei movimenti per l'acqua (www.acquabenecomune.org)...


In Altre Parole: "Iniziamo a temperare bene le matite in vista del Referendum primaverile, per sbarrare 2 SI per l'Acqua Bene Comune..."



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Oggi voglio ricordare: Paolino Riccobono


Ragazzino ucciso dalla mafia il 19 gennaio 1961.
Aveva 13 anni.

Il padre era stato ucciso la sera del 16 novembre 1957, mentre rincasava. Il fratello Giuseppe fu sequestrato ed assassinato nel 1960. Un altro fratello, Natale, venne eliminato a metà degli anni '70, poco dopo la scarcerazione. Per Paolino Riccobono, ragazzino di 13 anni dal cognome segnato, la mafia non ebbe alcuna pietà. Venne ucciso con quattro fucilate di lupara la sera del 19 gennaio 1961, sulle pendici del monte Billiemi a Tommaso Natale, una borgata di Palermo. I primi due colpi lo raggiunsero in pieno petto, gli altri due lo raggiunsero alle spalle mentre tentava la fuga disperata sulle pendici del monte dove pascolava le sue pecore.

Fonte: La strage degli eroi

mercoledì 2 febbraio 2011

Fino a qui tutto bene...


“La casa brucia…”, non sono io a dirlo ma il presidente Chirac a Johannesburg. Se nel 1954 Jacques Ellul sembrava un profeta del malaugurio, sappiamo ormai tutti che stiamo andando contro il muro. Non c’è più bisogno di fare la lista delle catostrofi ecologiche presenti e annunciate non è più da fare. Lo sappiamo tutti benissimo, ma non lo realizziamo. Lo scontro non è immaginabile prima che si sia prodotto. Sappiamo anche benissimo quello che bisognerebbe fare; iniziare la decrescita per l’appunto. Ma non facciamo nulla. “Guardiamo altrove…” mentre la casa finisce di bruciare. Bisogna dire a nostra discolpa, che i “responsabili” sia politici che economici ci inducono a questo atteggiamento. Nel frattempo, questi pompieri-piromani gettano ancora olio/petrolio sul fuoco urlando che è l’unico modo per spegnerlo. E continuiamo, dunque, a fare sempre di più la stessa cosa.

Questa posizione “pro-crescita” è largamente condivisa, in fondo, dalla sinistra, compresi gli “altro-mondialisti”, che vedono nella crescita anche la soluzione dei problemi sociali, in quanto crea posti di lavoro e favorisce una ripartizione più equa. L’annuncio trionfale sui giornali della ripresa americana, dei piani di rilancio franco-tedeschi o europei, si basa sui grandi lavori (infrastrutture per i trasporti) che non possono che deteriorare la situazione (in particolare climatica). D’altro canto, siamo colpiti dall’assordante silenzio dei socialisti, dei comunisti, dei verdi, dell’estrema sinistra… Unica vocina discordante, Jean-Marie Harribey, Alain Lipietz e i responsabili di ATTAC (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie e per l’aiuto) che propongono un “rallentamento della crescita”. Una proposta che parte da un buon sentimento, ma infelice in quanto ci priva sia dei benefici della crescita che dei vantaggi della decrescita…

Serge Latouche


In Altre Parole, citando Jacques Ellul: “Sarà una soddisfazione assolutamente positiva quella di mangiare alimenti sani, di avere meno rumore, di essere in un ambiente equilibrato, di non subire più le limitazioni del traffico…”



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Oggi voglio ricordare: Paolo Bongiorno


Uomo e sindacalista ucciso dalla mafia il 27 settembre 1960.

Aveva 38 anni.

Paolo Bongiorno nacque il 30 luglio 1922 a Cattolica Eraclea, paese dove visse fino all’età di 26 anni, insieme ai genitori, ai fratelli e alle sorelle. Figlio di Giuseppe Bongiorno e di Giuseppina Renda, una povera famiglia contadina, il padre faceva “u jurnataru” (lavorava a giornata), la madre era casalinga. Paolo, malgrado la povertà, riuscì a prendere la licenza elementare. Animato da una forte volontà, a scuola imparò a leggere e a scrivere, ma la miseria di quegli anni costrinse sin da ragazzini Paolo e i fratelli a duri lavori in campagna, come quello di raccogliere la liquirizia al fiume Platani per venderla ai commercianti. Nel contempo, quando trovava lavoro, faceva anche lui “u jurnataru”. La licenza elementare acquisita durante gli anni del fascismo, cosa difficilissima all’epoca per i figli dei poveri contadini, fornì a Paolo non solo la capacità di leggere e scrivere, ma anche, crescendo, uno strumento in più per comprendere meglio la realtà sociale e politica del periodo storico che stava vivendo il paese. Superati gli anni da Balilla, obbligatori per frequentare la scuola durante il fascismo, Paolo non si fece imbonire dall’indottrinamento di regime e cominciarono a piacergli le idee socialiste.

Ma nel 1947 Paolo fu costretto ad abbandonare la lotta per la terra poiché i carabinieri lo arrestarono per un reato commesso molti anni prima.

Vi era stato un diverbio tra la sorella di Paolo, Concetta, e una vicina di casa.

Il marito di quest’ultima avrebbe insultato pesantemente la sorella di Bongiorno, Paolo e uno dei suoi fratelli, avuta la notizia, aggredirono il marito della donna. Avvertiti da alcuni vicini di casa, intervennero i carabinieri della locale stazione, Paolo e il fratello furono denunciati a piede libero ma furono poi arrestati nel 1947 e scontarono circa diciotto mesi di carcere.

Paolo Bongiorno si sposò il 22 0ttobre del 1944, con Francesca Alfano. La coppia metterà al mondo sei figli: Giuseppe, Pietro, Giuseppina, Salvatore, Elisabetta e Paolina, quest’ultima nata dopo la sua morte.

Nel 1949, scontata la pena carceraria, Paolo Bongiorno, insieme alla famiglia, da Cattolica Eraclea si trasferì a Lucca Sicula dove già viveva la famiglia della moglie.

Povero e dignitoso, Paolo ricominciò subito a lavorare come bracciante agricolo.

Ma a Lucca Sicula le cose non andavano bene, c’era poco lavoro, duro e mal pagato; anche Paolo scelse la strada dell’emigrazione. Andò a lavorare in Francia come manovale, ma il soggiorno francese fu breve, quaranta giorni circa. La nostalgia per la moglie, i figli e la propria terra richiamò Paolo presto in Sicilia. Ricominciò a lavorare in campagna, riadattandosi a condizioni e paghe di lavoro pietose. Cercava una via di riscatto, senza tentennamenti preferì la strada dell’impegno politico.

Si avvicinò al partito comunista. Paolo Bongiorno, dopo un po’ di tempo di attività nel partito, fu nominato segretario della Camera del Lavoro locale. Con passione, il neo segretario della Camera del Lavoro cominciò ad interessarsi localmente dei problemi che assillavano la categoria dei braccianti. Come tutti i sindacalisti, anche Paolo disbrigava agli anziani le pratiche previdenziali, «una volta una signora rimase talmente contenta di aver ottenuto la pensione che voleva ricompensarlo donandogli una parte della sua prima pensione, ma lui non l’accettò e rifiutò anche i due litri di olio che, come semplice ricordo, la signora gli volle donare e le disse che, se proprio ci teneva, doveva venderlo e portare i soldi alla Camera del Lavoro così gli iscritti avrebbero potuto pagare parte delle spese per tenere attivo l’ufficio».

Ma più cresceva l’impegno di Paolo Buongiorno nella Camera del Lavoro, più crescevano le possibilità che lui non trovasse occupazione. I datori di lavoro evitavano di assumerlo, gli era sempre più difficile, infatti, trovare un’occupazione stabile, eterna vita da precario, da lavoratore a giornata.

L’impegno nel sindacato e nel partito, il lavoro sempre più difficile a trovarsi, la necessità di dover sostenere una famiglia con cinque figli, causarono a Paolo un lieve esaurimento nervoso. «Nel settembre del 1959 diede evidenti segni di nervosismo tanto che si ritenne opportuno farlo ricoverare presso la clinica D’Anna di Palermo, ove permase degente per circa un mese». Dopo un mese di ricovero in clinica Paolo risultò completamente ristabilito e non diede alcun segno di alienazione. Ritornò a lavorare in campagna e al sindacato.

Per lui ricominciarono le minacce. Racconta la sorella Concetta che proprio qualche mese prima che venisse ucciso Paolo, davanti al cimitero di Lucca Sicula, era stato minacciato da due noti mafiosi locali. Oltre all’impegno sindacale e politico, per Paolo si stava avvicinando anche quello istituzionale. Visto l’impegno profuso nel partito sin dal 1944, Paolo Bongiorno fu inserito nelle liste dei candidati del Pci al consiglio comunale per le elezioni del 1960 e, forse, il partito puntava su di lui per la candidatura a sindaco. Fu però assassinato a colpi di arma da fuoco mentre rientrava a casa.

Era la sera del 27 settembre del 1960, Paolo Bongiorno, dopo una riunione del partito, stava rincasando in compagnia del giovane nipote Giuseppe Alfano, leader dei giovani comunisti. Come ogni sera, Paolo, uscendo dai locali della Camera del Lavoro di Lucca Sicula, della quale era segretario, ritornava a casa attraversando le vie del centro storico del piccolo centro montanaro dell’agrigentino, abitato da circa tremila abitanti. Chiacchierando, zio e nipote avevano già percorso la via Teatro e la via Centrale. Erano le 22:30 circa quando, giunti a pochi metri dall’abitazione, due scariche di lupara, sparate da ignoti killer nascosti dietro lo spigolo di un muro, colpirono alla schiena Paolo Bongiorno. Lui emise un forte grido di dolore e, dopo aver fatto alcuni balzi in avanti, stramazzò al suolo in fin di vita.

In paese era stimato e apprezzato da tutti, ma ad alcune “cricche” cominciava a dare fastidio. Reclamava più diritti sociali, un salario più alto, condizioni e orari di lavoro più dignitosi. In un paese e in un periodo in cui, di diritti, chi doveva, ne concedeva ben pochi. Dunque arrivò anche per Bongiorno il tempo della lupara. Due colpi alla schiena, i colpi di grazia della mafia. Perché chi doveva capire capisse.

A dare l’estremo saluto al valente dirigente politico giunsero il segretario regionale della Camera del Lavoro, Pio La Torre (anche lui, nel 1982, sarà ucciso dalla mafia) e i dirigenti del Partito comunista, Guglielmini e Nando Russo. A porgere le condoglianze ai parenti della vittima, anche l’onorevole socialista Taormina, i dipendenti del Banco di Sicilia e i familiari di Accursio Miraglia, il segretario della Camera del Lavoro Sciacca, ucciso dalla mafia agraria nel 1947, anche alla vigilia delle elezioni.


Fonte: Onore agli eroi