sabato 25 agosto 2012

È ora di ammettere che abbiamo fallito


VOICE OVER:
Dopo un paio di settimane ti abitui al cibo scadente, ti abitui al caffè nei bicchieri di carta al pane che sa di plastica. Ti abitui alle corse per prendere la metro, a tutta questa gente che condivide poche centinaia di metri
quadri ogni giorno, e non sa dirsi neanche "buonasera". Ti abitui alla pioggia al sole che sorge così presto,Ti abitui alla mancanza del mare, perchè puoi usare i parchi come metadone,ti abitui ai mezzi che funzionano, alle strade pulite, ai bagni pubblici decenti ti abitui alla mancanza delle tapparelle ti abitui ad essere puntuale, alla mancanza del bidet, ai musei gratuiti, al lavoro gratificante. Ad una lingua che non sempre puoi capire ma che è tua, agli stipendi proporzionati, alle tasse basse ad un eccellente livello di civilità. Ti abitui alla nostalgia del sole, della calma delle campagne sterminate, dell'olio buono del vino del contadino. Ti abitui presto e non per questo ti scordi tutto quello che ha
i lasciato. Se ripartirei adesso? senza dubbio....

SUBTITLES:
Non ho veramente voluto nulla di tutto questo. Non sono qui per godermi i vantaggi dell'emigrazione. Non mi godrò mai nulla fino in fondo, starò semplicemente qui, in piedi, a sudare, a ricordarvi con la mia lontananza di avere dei rimpianti. Per tutto quello che di bellissimo mi avete tolto. Per tutto quello che avrei potuto fare, essere, avere a casa mia. E anche se qua andrà tutto per il meglio, non sarò mai a casa, e questa lingua non sarà mai mia come tutte queste nuvole. Ma non ve ne fregherà nulla. Mai. Forse un giorno. Quando le vostre città in macerie, puzzeranno di vecchio, e sentirete finalmente la mancanza di tutti quei ragazzi che avete mandato via a calci. Perché credo che sia tutta colpa vostra, di nessun altro. Nessun politico, nessun amministratore, nessun potente ha più colpa di voi. Di noi. Perchè mi sento responsabile di questa catastrofe tanto quanto lo siete voi. È ora di ammettere che abbiamo fallito. E che il nostro mondo è crollato. E io non sono che una scheggia andata a infrangersi da qualche altra parte.


domenica 5 agosto 2012

Non sono l'uno per cento


 

Per darvi un’idea su quel che vedrete, o quel che vi perderete (se optate per la non visione), prendo in prestito le parole di un anonimo anarchico, visto che non conosco l’autore di queste parole: “Carrara, capitale dell’anarchismo internazionale, l’editore Alfonso Nicolazzi, il professore universitario Gigi Di Lembo, lo scultore Dominique Stroobant, lo storico Massimiliano Giorni e il tipografo Donato Landini parlano di anarchia, valori e ideali raccontando la storia del movimento dal 1984 a oggi. Partendo dalle origini, Morabito prende in esame le principali fasi del movimento anarchico: la rivoluzione spagnola, la lotta partigiana e la fine della seconda guerra mondiale, le conquiste ottenute nel corso degli anni, fino ai movimenti no-global e ai problemi del presente: la guerra, la tutela dell'ambiente, il lavoro precario.
Con una straordinaria operazione di sintesi, dopo due anni di lavoro e 40 ore di riprese realizzate con pochissimi mezzi (una telecamera digitale e un microfono) e tanta sincera passione, Morabito realizza questo filmato di 75 minuti.”

In Altre Parole: “Un bel film documentario sull’anarchismo in Italia”.


martedì 10 luglio 2012

Violenza che non fa male al turismo



La mia amica, Elenìca, mi scrive dal suo paese: la Grecia.

“Ciao Enzo!
Alla fine riesco a scriverti. Le cose in Grecia non vanno bene. La percentuale del Chrissi Avgi (partito neonazista) non è cambiata nelle ultime elezioni e questo è un problema reale, anche se molti non vogliono ammetterlo. Ogni tanto vediamo sventolare una nuova bandiera greca fuori dalle case, dalle caffetterie, etc. Alla fine diventeremo come gli U.S.A., le metteremo nelle serie Tv, nei film... solo che noi non avremo mai lo stesso potere.

È stata tanta la pressione e lo stress che l’Europa ed i politici greci hanno creato agli elettori, che la paura dell’Euro è diventata più grande di quella del Fondo Monetario Internazionale. Prima delle elezioni, la Tv diceva che avevamo abbastanza soldi “fino a giugno”; immediatamente dopo le elezioni é diventato “fino a Luglio”. Intanto il Syriza (partito di sinistra) ha modificato molte volte il suo atteggiamento nei confronti del memorandum: negoziazione o denuncia. Così non si è raggiunta la fiducia per fare il governo; inoltre, le dichiarazioni del partito, di partecipare ad un governo collaborazionista, hanno dato a molti l’impressione che alla fine non volevano governare realmente. La situazione va di male in peggio.

In estate la gente è sempre più calma e per adesso non ci sono episodi di violenza per le strade delle città, ma solo suicidi… che non fanno male al turismo.

Andiamo al mare, si… ed intanto i miei amici, con laurea e master, cercano un lavoro all’estero. La disoccupazione é disoccupazione, ed il costo della vita non è diminuito. Noi restiamo con la crisi sociale ed alcuni euro in mano, fino ai prossimi inevitabili episodi di violenza, se le cose non cambiano”.

Il filosofo sloveno Slavoj Zizek, in uno dei suoi ultimi articoli, scrive:
“il cittadino è libero di scegliere, a condizione che faccia la scelta desiderata. Se l’opzione scelta è diversa (lo abbiamo visto quando gli irlandesi hanno rifiutato la costituzione europea) viene trattata come un errore, e per correggerlo l’establishment chiede immediatamente che il processo “democratico” riparta dal principio. Quando l’anno scorso il primo ministro greco George Papandeou ha proposto un referendum sul piano di salvataggio per la Grecia, la consultazione referendaria in sé è stata bollata come scelta sbagliata.

I mezzi di comunicazione veicolano due macro-storie a proposito della crisi greca: c’è la storia germano-europea (i greci sono irresponsabili, pigri, spendaccioni, evasori fiscali e hanno bisogno di essere controllati e di imparare la disciplina fiscale) e c’è la storia greca (la nostra sovranità nazionale è minacciata dalla tecnocrazia neoliberale di Bruxelles). Quando è diventato impossibile ignorare le sofferenze del popolo greco è emersa una terza storia: i greci vanno aiutati perché vittime di un'emergenza umanitaria, come se fosse in corso una guerra o se il paese fosse stato colpito da una calamità naturale. Tutte e tre le storie sono chiaramente false, ma la terza è la più disgustosa. I greci non sono affatto vittime inermi. Sono uomini in guerra contro i vertici dell’economia europea, e ciò di cui hanno bisogno è la nostra solidarietà, perché la loro battaglia è anche la nostra battaglia.”

In Altre Parole, citando ancora una volta Slavoj Zizek: “La Grecia non è un’eccezione, ma uno dei tanti banchi di prova per un nuovo modello socioeconomico dalle applicazioni potenzialmente illimitate: una tecnocrazia depoliticizzata in cui i banchieri e altri “saggi” demoliscono ogni forma di democrazia. Se riusciremo a salvare la Grecia dai suoi presunti salvatori, salveremo anche l’Europa.”


Cara Elenìca,
mi auguro per tutti noi una vera lotta alle ingiustizie sociali.
Buona lotta e tanto coraggio!

Un forte abbraccio,
Enzo


venerdì 6 luglio 2012

Nostalgia, nostalgia fascista


 
 
Mentre controllavo la salute fisica e mentale di qualche amico su facebook, ho trovato questa immagine. Generalmente scrivo direttamente nelle bacheche, di chi pubblica questo genere di fregnacce, frasi del tipo “ahahahahahahahahah… ed i treni arrivavano in orario”, ma questa volta non sono riuscito a trasformare il duce in un ferroviere ed ho ben pensato di ribattere con calma alla stupidità.

Analizziamo passo passo la propaganda del nostalgico fascista…

“Caro Duce, il debito pubblico sfiora i tre milioni di miliardi, scandaloso per una potenza del mondo (ma quale potenza?)”

Oggi il debito pubblico sfiora i 2 mila miliardi di euro.(1)


“Eppure allora, la Tua Italia, malgrado le ingenti spese che sostenevi per le tue colonie: Libia, Albania, Etiopia e Somalia, Tu, quadravi il bilancio a pareggio e nel 1926 sbalordivi il mondo con due miliardi di attivo”.

“I fascisti – e De’ Stefani in particolare – vantarono a lungo l’antitesi tra i loro bilanci ed i passati bilanci. In realtà, la pretesa di aver risanato la finanza pubblica – definita da Matteotti «una favola per ignoranti» – non aveva ragion d’essere. Il risanamento era la conseguenza dell’esaurirsi delle spese di guerra, nonché della politica finanziaria dei Governi precedenti, nonché frutto di espedienti di bilancio, con storni di spese dal presente al passato o dal presente all’avvenire. […]Ma con simili espedienti, che migliorano il bilancio aggravando il patrimonio, non è difficile il miglioramento di qualsiasi bilancio.[…] La politica di deflazione e rivalutazione della lira, proseguita nel corso del 1927, fu particolarmente dura per le classi meno abbienti, grazie anche alla promulgazione, il 21 aprile 1927, della Carta del Lavoro, che stabiliva in modo rigido ed organico la subordinazione del lavoro al capitale. I salari e gli stipendi furono ridotti dal 10% al 20%, in una situazione che privava i lavoratori del diritto di sciopero e di rappresentanti sindacali autentici, e con prezzi al minuto che si mantenevano abbastanza stabili. Questa tendenza continuò anche negli anni seguenti, specie nel periodo dal 1927 al 1932. […] I disavanzi di bilancio del periodo 1929-1935 provocarono un aumento del debito pubblico da 87.134 a 105.710 milioni”.(2)

Sulle colonie ai tempi del fascismo, mi soffermo a ricordare, brevemente, i crimini del colonialismo fascista.
“il diffuso impiego dell’arma chimica nelle guerre coloniali di conquista (Etiopia) e di riconquista (Libia) rappresenta la manifestazione più palese e brutale, invano negata o ridimensionata dal regime. […] anche se questa tragica contabilità appare ancora incompleta, si può comunque ritenere che dal 1935 al 1938 sono state lanciate sui soldati e sui civili etiopici non meno di 500 tonnellate di aggressivi chimici. […] il colonialismo fascista si differenzia da quello precedente per la qualità delle vessazioni esercitate nei confronti dei civili. Mentre prima ci si limitava all’esproprio dei terreni, alla confisca dei beni dei ribelli, all’esercizio diffuso del lavoro forzato, all’imposizione di leggi e di norme spesso in contrasto con i costumi locali, con il fascismo si passa alla deportazione di intere popolazioni e alla loro segregazione in campi di concentramento. Si tratta di provvedimenti gravissimi, che hanno pochi precedenti nella storia della colonizzazione del continente africano, e che per un’altissima percentuale dei confinati significano la morte per fame, per malattia o per impiccagione. […] “il cibo che gli italiani ci davano era veramente nocivo per la nostra salute. Consisteva principalmente in gallette rotte infestate da vermi” […] altra pratica violenta introdotta dal fascismo in colonia è la spedizione punitiva condotta con i rituali metodi squadristici. […] i giornali inglesi, francesi e americani del’epoca forniscono cifre che oscillano fra i 1400 e i 6000 morti. […] la sola arma dei carabinieri passa per le armi, in meno di quattro mesi, 2509 indigeni. Alle operazioni repressive partecipa anche l’esercito.[…] gli indigeni sono inoltre esclusi dagli alberghi, ristoranti, bar, ritrovi frequentati da nazionali, mentre la più netta separazione è praticata sugli autobus, sui treni, nei cinematografi. I nativi sono inoltre obbligati a vivere nei loro quartieri, che sono ubicati nelle zone più infelici o malsane e su estensioni estremamente ridotte.”(3)

“Eppure l’operaio, il pensionato, l’impiegato non conoscevano cartelle di tasse, il commerciante non aveva registri IVA, mod. 740, IRPEF, ILOR, tasse sulla salute, ICI, ecc. Definiva i suoi redditi a trattazione privata con gli uffici fiscali, concordando modeste tasse che venivano pagate in sei rate.”

“Durante il fascismo gli italiani erano arrivati a evadere le tasse addirittura per il 49 per cento. La situazione non è mai cambiata più di tanto”.(4)

“Con Te nacquero la “Previdenza Sociale”, gli “Assegni Familiari”, i premi per i figli nati, i “Sussidi per gli Anziani”, le strade, le reti fognarie, le scuole, le Case Popolari, le bonifiche, l’Opera Maternità Infanzia, le Colonie Elioterapeutiche, le Colonie Marine, ecc. ecc.
Avevamo la pace sociale, morale, la tranquillità, la dignità di Patria e l’orgoglio di essere ITALIANI.”

“Dopo l’instaurazione del regime fascista nel 1926, vennero emanate le leggi fascistissime: furono sospesi tutti i partiti e le associazioni d’opposizione (gli antifascisti vennero arrestati, processati ed aggrediti), vennero chiusi gli organi di stampa avversi al regime, venne creata l’OVRA e il Tribunale speciale.
In uno stato di tipo totalitario, come fu l’Italia fascista, la propaganda, il controllo dell’informazione e il consenso delle masse fu essenziale. L’Italia di quegli anni era una nazione ancora ampiamente analfabetizzata, nonostante tutte le leggi e i regolamenti emanati durante gli anni precedenti. Creare una nuova scuola significò soprattutto preparare le nuove generazioni all’accettazione del regime. Quindi l’educazione, l’indottrinamento dei bambini e la scuola divennero il mezzo privilegiato della propaganda fascista, nonché un serbatoio di reclutamento”.(5)

In Altre Parole, citando Bertolt Brecht: “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”.



FONTI

(1) Istituto Bruno Leoni, (http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=0000002281);

(2) Domenico Antonio Fausto, “Lineamenti dell’evoluzione del debito pubblico in Italia (1861-1961)”, pp.91-97, (http://www.delpt.unina.it/stof/15_pdf/15_6.pdf)

(3) Angelo Del Boca, “Le guerre coloniali del fascismo”, Laterza, 2009, pp. 232-252;

(4) Intelligence in lifestyle, “Noi gli evasivi”, 11 marzo 2011, p.1, (http://www.fiscooggi.it/files/u27/rassegnastampa/07.03.2011_03_3.pdf);

(5) Giulia Antonelli, Michele Bigatton, Francesco Dario, Agnese Lorenzon, Ambra Makuc, Simone Pecoraro, Andrea Raccovelli, “La vita dei bambini durante il ventennio fascista”, Treno della Memoria 2009,  (http://www.memoriaeimpegno.org/index.php?option=com_content&view=article&id=36:vita-bambini-ventennio-fascista&catid=7:prima-del-39&Itemid=11);

lunedì 2 luglio 2012

Vagli a spiegare che è primavera



Capisco bene il dolore e la rabbia di chi subisce una sofferenza immensa ed incolmabile, e così mi chiedo: “ma è veramente questo il modo più umano che conosciamo per combattere gli atti inumani? Cosa intendiamo dimostrare, o speriamo di ottenere, con questa istituzione?” Io credo che bisognerebbe riflettere su tutto ciò e non fare finta di niente, smettendola di pensare stupidamente che l’argomento non ci appartenga. Penso che si possa trovare un modo più umano o quantomeno provare a fare qualcosa di più onesto per compensare la disonestà. E per tutti quelli che sostengono che non c’è alternativa, perché altrimenti si tornerebbe a vivere nella giungla, o nel far west, dove il più debole viene fatto fuori dal più forte. A tutti loro dico di farsi un giro tra i cancelli delle loro inevitabili strutture ed aspettare il giorno in cui un uomo o una donna uscirà di lì, per chiedere loro se stavano tra i più forti o tra i più deboli, perché in fondo la nostra paura della giungla loro la conoscono bene, poiché l’hanno vissuta sulla loro pelle. Ed infine, vi invito a chiedere scusa, per tutto quel tempo, della loro infelice vita, che gli abbiamo rubato, perché eravate convinti che tutto ciò fosse giusto e necessario.

In Altre Parole: credo che la galera sia una delle bassezze più grandi del genere umano.

giovedì 21 giugno 2012

Francesco e Maurizio




Francesco e Maurizio sono due ragazzi, due amici, due gay. Esistono tanti altri modi, anche offensivi, per esprimere il loro modo di essere, ma solo un giorno l'anno per dimostrarlo con orgoglio, perchè i rimanenti giorni dell'anno, come dice lo stesso Francesco, "li trascorriamo rinchiusi negli stessi locali" per paura di subire pestaggi o insulti omofobi, per il semplice motivo di camminare mano nella mano con la persona che amano. Forse un giorno non sarà più necessario ricordare e documentare la condizione dei gay, perché il tutto verrà vissuto e percepito come “normale”. Fino ad allora toccherà a tutti noi, etero non omofobi, sostenere la loro battaglia per i diritti.

In Altre Parole, citando Tommaso Giartosio: “Si può sperare che l’omofobia diventi questo: un repertorio di innocui stereotipi che pochi imbecilli prendono sul serio, mentre tutti gli altri ci giocano”.


Anche su La Repubblica, Francesco e Maurizio 
Mi hanno concesso uno spazio, per il video, sul quotidiano La Repubblica.


venerdì 25 maggio 2012

Contro la mafia non significa tifare Stato


È notte mentre scrivo, che poi sarebbe meglio dire che è notte, qui in Italia, mentre scrivo. Perché mentre io scrivo, in Messico, per esempio, nello stato del Chiapas, nella Selva Lacandona non sono neanche le otto di sera. Invece qui è notte. Generalmente scrivo di notte, perché riesco a trovare quella concentrazione e profondità che solo la notte riesce a donarmi. Ed è forse dalla notte che dobbiamo partire, dalla notte che è calata piano piano sul nostro paesino chiamato Italia. Una notte che non vuole finire, ma anzi sembra farsi più scura perché sono in tanti ad aver paura di sapere cosa si vede sotto la luce del sole. Così continua la grande giostra della giornata della memoria, fatta di simbolismi, di cerimonie, di Borsellino diceva… di Borsellino avrebbe detto, avrebbe fatto… di Borsellino non è morto, perché vive… Vive, si. Vive nel ricordo di un giorno, che poi è sempre il suo anniversario di morte. E così in quel giorno, ed in un qualche altro giorno in cui si celebra la morte di un qualche altro morto ammazzato, torna a noi tutti in mente che la MAFIA uccide senza pietà, schiavizza il più debole, strangola con tutta la sua forza, estorce con violenza, s’impone con prepotenza ed umilia con arroganza. E nel frattempo lo STATO... ringrazia. Ringrazia lo Stato. Ringrazia la mafia, come cliente fidato, perché non esiste uno migliore per fare affari. Ringrazia la metodologia mafiosa, perché una bomba qua e là, qualche volta attira l’attenzione dei sudditi (oggi chiamati cittadini perché fa molto più democratico) e fa crescere una sorta di paura misto ad un grande senso patriottico, che porta dritto all’inno con la mano sul cuore mentre con l’altra si agita il tricolore. Ringrazia lo STATO, ringrazia ed offre caffè corretti alla stricnina, massaggi gratuiti in salsa tonfa, canzoni di un glorioso passato a tenere il braccio teso e la mano aperta, treni in orario e leggi più giuste. Perché se la MAFIA è una montagna di merda, lo STATO detiene sempre il monopolio.      

In Altre Parole: un giorno forse riusciremo ad andare oltre l'indottrinamento, col quale siamo cresciuti, e capire che essere contro la mafia non significa tifare per lo Stato.

“Lo Stato è come la religione, vale se la gente ci crede ” Errico Malatesta

sabato 19 maggio 2012

Il male e il malvagio secondo Magdalena


"Senti, Elìas, forse tu puoi capirmi perché sei indio e sai cosa si prova con la discriminazione e il razzismo. Non so, c'è in giro una specie di odio per tutto quello che è diverso. Un odio che senti quando ti guardano male, ti prendono in giro, fanno battute o ti umiliano e ti insultano. Qualcosa che in certi casi arriva a uccidere. Alcune, o alcuni, di noi, sono già stati assassinati. A volte si viene a sapere, altre volte no. E non mi riferisco al fatto che si viene ammazzate in una rapina o in un sequestro. No, ci ammazzano solo perché gli dà fastidio la nostra diversità. E per giunta, se succede qualcosa di male, essendo quello che siamo, sospettano subito di noi. Perché quelli pensano che la nostra diversità non è naturale, ma è una perversione, una depravazione. Come se le nostre preferenze sessuali fossero il prodotto di una mente criminale, un tratto delinquenziale... o animalesco, perché un vescovo ha detto che siamo scarafaggi. Non so, ma il fatto è che se uno, o una, è omosessuale, lesbica o transessuale o lavoratrice del sesso, è il primo o la prima a venire sospettata di qualsiasi cosa. Allora una, o uno, deve nascondere la propria diversità o relegarla in un vicolo buio. E perché dobbiamo nascondere ciò che siamo? Lavoriamo come chiunque altro, amiamo e odiamo come tutti, sogniamo, abbiamo virtù e difetti simili agli altri, cioè siamo uguali ma diversi. E invece no, per quelli là non siamo normali, siamo fenomeni orrendi, degenerati da eliminare dalla faccia della terra. E non chiedermi chi sono quelli là, perché non te lo saprei dire bene. Quelli. Tutti. Persino coloro che si dicono progressisti, democratici e di sinistra. Hai visto che dopo gli omicidi di Digna Ochoa e di Pavel Gonzalez le autorità hanno detto che lei era lesbica e lui omosessuale, come se fosse un buon motivo per non fare giustizia. E siccome erano così, allora si sono depressi e quindi suicidati, meglio per tutti. Che schifo. Altro che città della speranza, cazzo. Si, perché se succede qualcosa di brutto a gente come noi, dicono che ce lo siamo meritato, qualche motivo ci sarà stato e cose del genere. E poi, non si usano riferimenti omosessuali per insultare qualcuno? Puto, marimacha, mampo, mariposòn... Be', ma cosa ti sto a raccontare, a te, che "indio" viene ancora usato come insulto in questo paese che è stato costruito dagli indigeni e si regge sulle loro spalle. Chi sono quelli là? Be', tutti. E nessuno. E' una specie di ambiente. Qualcosa che sta nell'aria. E poi sono anche ipocriti, perché gli stessi che di giorno ci insultano e perseguitano, la notte vengono a cercarci "per capire cosa si prova" o perchè il loro corpo confessi ciò che la testa rifiuta, cioè che sono come noi. E' vero che a volte siamo aggressivi, ma è per difenderci. Se non ti danno tregua, a furia di subire è ovvio che quando si avvicina qualcuno pensi che voglia farti del male. La stessa repulsione che suscitiamo negli altri la usiamo per proteggerci. Ma perché deve essere così? Vorrei che fosse vero quello che mi hai detto, che potrei farmi operare e il mio corpo fosse ciò che sono io, e magari sposarmi, e avere dei figli. Ma a loro, ai miei figli, non mentirei, su quello che ero. E non vorrei che si vergognassero di me. Certo, molte cose sono cambiate, l'omosessualità non viene perseguitata, ma questo vale lassù, negli strati alti, tra i ricchi, tra la gente di prestigio. Perché qua sotto siamo fottuti come prima. Il male è l'incapacità della gente di comprendere la diversità, perché comprendere equivale a rispettare. E poi perseguitano ciò che non capiscono. Il male, papà Elìas, è l'incomprensione, la discriminazione, l'intolleranza. E si trova ovunque. O da nessuna parte..."

(tratto da "Morti scomodi" del Subcomandante Marcos e Paco Ignacio Taibo II)

domenica 6 maggio 2012

Libertà e Dignità


L’obiettivo degli zapatisti non è conquistare il potere, ma strappare e costruire spazi autonomi dove possano prosperare “la Democrazia , la Libertà e la Giustizia”.

Mi sembra un buon punto di inizio per analizzare, o conoscere, l’azione politica ed il pensiero indigeno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e del Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale (FZLN). Chiarisco fin da subito che non voglio ricostruire l’importante, nonché audace, lotta compiuta dall’EZLN e dal FZLN fino ai giorni nostri in Chiapas (Messico), anche perché finirei solo per dilungarmi troppo, con il rischio di impigrire la curiosità del lettore e basta. Invece, quello che vorrei fare, e tenterò di fare in questo post, sarà quello di far conoscere questa realtà attraverso le parole del loro portavoce: il Subcomandante Insurgente Marcos. Il resto, se siete interessati a tutto ciò, lo scoprirete voi stessi attraverso la lettura di libri, comunicati ed altro ancora, che troverete facilmente in rete. Che la curiosità sia con voi!

“Marcos è convinto che quel che ha imparato nel Chiapas sulla struttura decisionale non gerarchica, l’organizzazione decentrata e la profonda democrazia comunitaria offre valide risposte anche per il mondo non indigeno, se solo ci fosse la volontà di ascoltare. Questo è un tipo di organizzazione che non suddivide la comunità in lavoratori, guerrieri, agricoltori e studenti, ma cerca di organizzare le comunità come un tutto, lungo i settori e lungo le generazioni, creando “movimenti sociali”. Per gli zapatisti queste zone autonome non equivalgono a isolazionismo o autoemarginazione stile anni Sessanta. L’esatto opposto: Marcos è convinto che questi spazi liberi, nati dalla terra recuperata, dall’agricoltura in comune, dalla resistenza alla privatizzazione, creeranno alla fine contropoteri allo Stato semplicemente esistendo come alternative. Questa è l’essenza dello zapatismo e spiega molto del suo fascino: un appello globale alla rivoluzione che vi dice di non aspettare la rivoluzione, ma semplicemente di cominciarla da dove vi trovate, di combattere con le vostre armi. Potrebbero essere una videocamera, le parole, le idee, la “speranza”: tutte queste cose, ha scritto Marcos, “sono anche armi”. È una rivoluzione in miniatura che dice: “Si, puoi provarci. A casa tua”.”
(tratto da Recinti e Finestre di Naomi Klein)

“Questo è il nostro sogno”, scrive Marcos, “il paradosso zapatista: un sogno che toglie il sonno. L’unico sogno che si sogna da svegli, insonni. La storia che nasce e viene nutrita dal basso”.

E per coloro i quali si chiedano: “Chi è Marcos?”
Marcos risponde: “Marcos è gay a San Francisco, nero in Sudafrica, asiatico in Europa, chicano a San Isidro, anarchico in Spagna, palestinese in Israele, indigeno nelle strade di San Cristóbal, ragazzino di una gang a Neza, rocker a Cu, ebreo nella Germania nazista, ombudsman nella Sedena, femminista nei partiti politici, comunista nel dopo Guerra fredda, detenuto a Cintalapa, pacifista in Bosnia, mapuche nelle Ande, maestro nella Cnte, artista senza galleria o cartelle, casalinga un sabato sera in qualsiasi quartiere di qualsiasi città di qualsiasi Messico, guerrigliero nel Messico della fine del XX secolo, scioperante nella Ctm, reporter di note di riempimento nelle pagine interne, maschilista nel movimento femminista, donna sola nella metro alle 10 di sera, pensionato annoiato nello Zócalo, contadino senza terra, editore marginale, operaio disoccupato, medico senza impiego, studente anticonformista, dissidente nel neoliberismo, scrittore senza libri né lettori e, certamente, zapatista nel sud-est messicano. Marcos è tutte le minoranze rifiutate e oppresse, resistendo, esplodendo, dicendo "¡Ya basta!" – Ora Basta! Tutte le minoranze nel momento di parlare e maggioranze nel momento di tacere e sopportare. Tutti i rifiutati cercando una parola, la loro parola, ciò che restituisca la maggioranza agli eterni frammenti, noi. Tutto ciò che dà fastidio al potere e alle buone coscienze, questo è Marcos. E, per questo, tutti noi che lottiamo per un mondo diverso, per la libertà e l’emancipazione dell’umanità, tutti noi siamo Marcos”.

In Altre Parole: “Libertà e Dignità!”


Consiglio anche la visione di questo documentario di Gianni Minà: "Marcos: Qui estamos"