venerdì 25 maggio 2012

Contro la mafia non significa tifare Stato


È notte mentre scrivo, che poi sarebbe meglio dire che è notte, qui in Italia, mentre scrivo. Perché mentre io scrivo, in Messico, per esempio, nello stato del Chiapas, nella Selva Lacandona non sono neanche le otto di sera. Invece qui è notte. Generalmente scrivo di notte, perché riesco a trovare quella concentrazione e profondità che solo la notte riesce a donarmi. Ed è forse dalla notte che dobbiamo partire, dalla notte che è calata piano piano sul nostro paesino chiamato Italia. Una notte che non vuole finire, ma anzi sembra farsi più scura perché sono in tanti ad aver paura di sapere cosa si vede sotto la luce del sole. Così continua la grande giostra della giornata della memoria, fatta di simbolismi, di cerimonie, di Borsellino diceva… di Borsellino avrebbe detto, avrebbe fatto… di Borsellino non è morto, perché vive… Vive, si. Vive nel ricordo di un giorno, che poi è sempre il suo anniversario di morte. E così in quel giorno, ed in un qualche altro giorno in cui si celebra la morte di un qualche altro morto ammazzato, torna a noi tutti in mente che la MAFIA uccide senza pietà, schiavizza il più debole, strangola con tutta la sua forza, estorce con violenza, s’impone con prepotenza ed umilia con arroganza. E nel frattempo lo STATO... ringrazia. Ringrazia lo Stato. Ringrazia la mafia, come cliente fidato, perché non esiste uno migliore per fare affari. Ringrazia la metodologia mafiosa, perché una bomba qua e là, qualche volta attira l’attenzione dei sudditi (oggi chiamati cittadini perché fa molto più democratico) e fa crescere una sorta di paura misto ad un grande senso patriottico, che porta dritto all’inno con la mano sul cuore mentre con l’altra si agita il tricolore. Ringrazia lo STATO, ringrazia ed offre caffè corretti alla stricnina, massaggi gratuiti in salsa tonfa, canzoni di un glorioso passato a tenere il braccio teso e la mano aperta, treni in orario e leggi più giuste. Perché se la MAFIA è una montagna di merda, lo STATO detiene sempre il monopolio.      

In Altre Parole: un giorno forse riusciremo ad andare oltre l'indottrinamento, col quale siamo cresciuti, e capire che essere contro la mafia non significa tifare per lo Stato.

“Lo Stato è come la religione, vale se la gente ci crede ” Errico Malatesta

sabato 19 maggio 2012

Il male e il malvagio secondo Magdalena


"Senti, Elìas, forse tu puoi capirmi perché sei indio e sai cosa si prova con la discriminazione e il razzismo. Non so, c'è in giro una specie di odio per tutto quello che è diverso. Un odio che senti quando ti guardano male, ti prendono in giro, fanno battute o ti umiliano e ti insultano. Qualcosa che in certi casi arriva a uccidere. Alcune, o alcuni, di noi, sono già stati assassinati. A volte si viene a sapere, altre volte no. E non mi riferisco al fatto che si viene ammazzate in una rapina o in un sequestro. No, ci ammazzano solo perché gli dà fastidio la nostra diversità. E per giunta, se succede qualcosa di male, essendo quello che siamo, sospettano subito di noi. Perché quelli pensano che la nostra diversità non è naturale, ma è una perversione, una depravazione. Come se le nostre preferenze sessuali fossero il prodotto di una mente criminale, un tratto delinquenziale... o animalesco, perché un vescovo ha detto che siamo scarafaggi. Non so, ma il fatto è che se uno, o una, è omosessuale, lesbica o transessuale o lavoratrice del sesso, è il primo o la prima a venire sospettata di qualsiasi cosa. Allora una, o uno, deve nascondere la propria diversità o relegarla in un vicolo buio. E perché dobbiamo nascondere ciò che siamo? Lavoriamo come chiunque altro, amiamo e odiamo come tutti, sogniamo, abbiamo virtù e difetti simili agli altri, cioè siamo uguali ma diversi. E invece no, per quelli là non siamo normali, siamo fenomeni orrendi, degenerati da eliminare dalla faccia della terra. E non chiedermi chi sono quelli là, perché non te lo saprei dire bene. Quelli. Tutti. Persino coloro che si dicono progressisti, democratici e di sinistra. Hai visto che dopo gli omicidi di Digna Ochoa e di Pavel Gonzalez le autorità hanno detto che lei era lesbica e lui omosessuale, come se fosse un buon motivo per non fare giustizia. E siccome erano così, allora si sono depressi e quindi suicidati, meglio per tutti. Che schifo. Altro che città della speranza, cazzo. Si, perché se succede qualcosa di brutto a gente come noi, dicono che ce lo siamo meritato, qualche motivo ci sarà stato e cose del genere. E poi, non si usano riferimenti omosessuali per insultare qualcuno? Puto, marimacha, mampo, mariposòn... Be', ma cosa ti sto a raccontare, a te, che "indio" viene ancora usato come insulto in questo paese che è stato costruito dagli indigeni e si regge sulle loro spalle. Chi sono quelli là? Be', tutti. E nessuno. E' una specie di ambiente. Qualcosa che sta nell'aria. E poi sono anche ipocriti, perché gli stessi che di giorno ci insultano e perseguitano, la notte vengono a cercarci "per capire cosa si prova" o perchè il loro corpo confessi ciò che la testa rifiuta, cioè che sono come noi. E' vero che a volte siamo aggressivi, ma è per difenderci. Se non ti danno tregua, a furia di subire è ovvio che quando si avvicina qualcuno pensi che voglia farti del male. La stessa repulsione che suscitiamo negli altri la usiamo per proteggerci. Ma perché deve essere così? Vorrei che fosse vero quello che mi hai detto, che potrei farmi operare e il mio corpo fosse ciò che sono io, e magari sposarmi, e avere dei figli. Ma a loro, ai miei figli, non mentirei, su quello che ero. E non vorrei che si vergognassero di me. Certo, molte cose sono cambiate, l'omosessualità non viene perseguitata, ma questo vale lassù, negli strati alti, tra i ricchi, tra la gente di prestigio. Perché qua sotto siamo fottuti come prima. Il male è l'incapacità della gente di comprendere la diversità, perché comprendere equivale a rispettare. E poi perseguitano ciò che non capiscono. Il male, papà Elìas, è l'incomprensione, la discriminazione, l'intolleranza. E si trova ovunque. O da nessuna parte..."

(tratto da "Morti scomodi" del Subcomandante Marcos e Paco Ignacio Taibo II)

domenica 6 maggio 2012

Libertà e Dignità


L’obiettivo degli zapatisti non è conquistare il potere, ma strappare e costruire spazi autonomi dove possano prosperare “la Democrazia , la Libertà e la Giustizia”.

Mi sembra un buon punto di inizio per analizzare, o conoscere, l’azione politica ed il pensiero indigeno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e del Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale (FZLN). Chiarisco fin da subito che non voglio ricostruire l’importante, nonché audace, lotta compiuta dall’EZLN e dal FZLN fino ai giorni nostri in Chiapas (Messico), anche perché finirei solo per dilungarmi troppo, con il rischio di impigrire la curiosità del lettore e basta. Invece, quello che vorrei fare, e tenterò di fare in questo post, sarà quello di far conoscere questa realtà attraverso le parole del loro portavoce: il Subcomandante Insurgente Marcos. Il resto, se siete interessati a tutto ciò, lo scoprirete voi stessi attraverso la lettura di libri, comunicati ed altro ancora, che troverete facilmente in rete. Che la curiosità sia con voi!

“Marcos è convinto che quel che ha imparato nel Chiapas sulla struttura decisionale non gerarchica, l’organizzazione decentrata e la profonda democrazia comunitaria offre valide risposte anche per il mondo non indigeno, se solo ci fosse la volontà di ascoltare. Questo è un tipo di organizzazione che non suddivide la comunità in lavoratori, guerrieri, agricoltori e studenti, ma cerca di organizzare le comunità come un tutto, lungo i settori e lungo le generazioni, creando “movimenti sociali”. Per gli zapatisti queste zone autonome non equivalgono a isolazionismo o autoemarginazione stile anni Sessanta. L’esatto opposto: Marcos è convinto che questi spazi liberi, nati dalla terra recuperata, dall’agricoltura in comune, dalla resistenza alla privatizzazione, creeranno alla fine contropoteri allo Stato semplicemente esistendo come alternative. Questa è l’essenza dello zapatismo e spiega molto del suo fascino: un appello globale alla rivoluzione che vi dice di non aspettare la rivoluzione, ma semplicemente di cominciarla da dove vi trovate, di combattere con le vostre armi. Potrebbero essere una videocamera, le parole, le idee, la “speranza”: tutte queste cose, ha scritto Marcos, “sono anche armi”. È una rivoluzione in miniatura che dice: “Si, puoi provarci. A casa tua”.”
(tratto da Recinti e Finestre di Naomi Klein)

“Questo è il nostro sogno”, scrive Marcos, “il paradosso zapatista: un sogno che toglie il sonno. L’unico sogno che si sogna da svegli, insonni. La storia che nasce e viene nutrita dal basso”.

E per coloro i quali si chiedano: “Chi è Marcos?”
Marcos risponde: “Marcos è gay a San Francisco, nero in Sudafrica, asiatico in Europa, chicano a San Isidro, anarchico in Spagna, palestinese in Israele, indigeno nelle strade di San Cristóbal, ragazzino di una gang a Neza, rocker a Cu, ebreo nella Germania nazista, ombudsman nella Sedena, femminista nei partiti politici, comunista nel dopo Guerra fredda, detenuto a Cintalapa, pacifista in Bosnia, mapuche nelle Ande, maestro nella Cnte, artista senza galleria o cartelle, casalinga un sabato sera in qualsiasi quartiere di qualsiasi città di qualsiasi Messico, guerrigliero nel Messico della fine del XX secolo, scioperante nella Ctm, reporter di note di riempimento nelle pagine interne, maschilista nel movimento femminista, donna sola nella metro alle 10 di sera, pensionato annoiato nello Zócalo, contadino senza terra, editore marginale, operaio disoccupato, medico senza impiego, studente anticonformista, dissidente nel neoliberismo, scrittore senza libri né lettori e, certamente, zapatista nel sud-est messicano. Marcos è tutte le minoranze rifiutate e oppresse, resistendo, esplodendo, dicendo "¡Ya basta!" – Ora Basta! Tutte le minoranze nel momento di parlare e maggioranze nel momento di tacere e sopportare. Tutti i rifiutati cercando una parola, la loro parola, ciò che restituisca la maggioranza agli eterni frammenti, noi. Tutto ciò che dà fastidio al potere e alle buone coscienze, questo è Marcos. E, per questo, tutti noi che lottiamo per un mondo diverso, per la libertà e l’emancipazione dell’umanità, tutti noi siamo Marcos”.

In Altre Parole: “Libertà e Dignità!”


Consiglio anche la visione di questo documentario di Gianni Minà: "Marcos: Qui estamos"