sabato 25 giugno 2011

La proprietà privata per alleviare i mali orribili causati dalla proprietà privata




Slavoj Zizek è un filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno.

"Perché la beneficenza è diventata un elemento strutturale della nostra economia e non è più solo la caratteristica di qualche brava persona? Nel capitalismo di oggi la tendenza è di mescolare profitto e beneficenza. Così quando comprate qualcosa, nella spesa è già incluso il vostro impegno per il bene degli altri, dell’ambiente e così via.

Se pensate che stia esagerando, entrate in un qualunque caffè della catena Starbucks e vedrete. Cito la loro campagna: “Non è solo cosa comprate, ma cosa scegliete”. Lo spiegano così: “Quando comprate Starbucks (…) state scegliendo qualcosa di più di una tazza di caffè. State promuovendo un’etica del caffè. Grazie al programma Starbucks ‘Shared Planet’, compriamo più caffè del commercio equo e solidale di qualunque altra azienda al mondo, garantendo agli agricoltori un prezzo equo per il loro duro lavoro. E investiamo nei metodi dei coltivatori di caffè migliorando la vita delle loro comunità in tutto il mondo. È un buon karma per il caffè”. È quello che chiamo “capitalismo culturale” allo stato puro. Non state solo comprando un caffè, state comprando la vostra redenzione dall’essere semplici consumisti. State facendo qualcosa per l’ambiente, qualcosa per salvare i bambini che hanno fame in Guatemala e qualcosa per ricostruire il senso di comunità.

Scelte difficili
Potrei fare molti esempi, ma la sostanza non cambia: mentre fate delle scelte consumiste, allo stesso tempo spendete i vostri soldi per fare del “bene”. Tutto questo genera una sorta di… come potrei definirlo? Un sovrainvestimento o sovraccarico semantico. Sapete che non è in gioco solo l’acquisto di una tazza di caffè: è in gioco il rispetto di tutta una serie di responsabilità etiche. Questa logica oggi è quasi universalizzata.

Perciò si crea un corto circuito molto interessante: un gesto di consumo egoista comprende il prezzo del suo contrario. Davanti a questo fenomeno, credo che dovremmo tornare al buon vecchio Oscar Wilde, che ci ha fornito l’argomentazione migliore contro la logica della beneficenza. In L’anima dell’uomo sotto il socialismo, lo scrittore sottolinea che “è molto più facile solidarizzare con la sofferenza che con il pensiero”: “Le persone scoprono di essere circondate da una spaventosa povertà, da una spaventosa bruttezza, da una spaventosa fame. È inevitabile che tutto ciò le commuova. Di conseguenza, con intenzioni ammirevoli ma male indirizzate, con la massima serietà e molto sentimentalismo, si impegnano nel compito di rimediare ai mali che vedono. Ma i loro rimedi non curano la malattia, non fanno che prolungarla.

Di fatto, i loro rimedi sono parte della malattia. Cercano di risolvere il problema della povertà, per esempio, tenendo in vita i poveri o, nel caso di una scuola molto avanzata, divertendoli. Ma questa non è una soluzione, è un aggravamento del problema. L’obiettivo giusto è cercare di ricostruire la società su basi che rendano impossibile la povertà. E le virtù altruistiche hanno di fatto impedito il raggiungimento di questo obiettivo. […] I peggiori schiavisti erano quelli che si comportavano gentilmente con i loro schiavi, e così impedivano che l’orrore del sistema fosse compreso da coloro che soffrivano per sua colpa e da coloro che lo osservavano. […] La beneficenza degrada e demoralizza. È immorale usare la proprietà privata per alleviare i mali orribili causati dall’istituzione della proprietà privata”.

Rischio ipocrisia
Penso che queste parole siano più attuali che mai. Per quanto possa apparire positivo, il salario garantito – questa specie di patto con i ricchi – non è una soluzione. A mio giudizio esiste un altro problema. Ho l’impressione che questo sia l’ultimo, disperato tentativo di mettere il capitalismo al servizio del socialismo: non cancelliamo il male, lasciamo che sia il male stesso a lavorare per il bene. Trenta o quarant’anni fa, sognavamo il socialismo dal volto umano. Oggi, invece, l’orizzonte più lontano, più radicale, della nostra immaginazione è il capitalismo globale dal volto umano. Le regole del gioco restano le stesse, però lo rendiamo un po’ più umano, più tollerante, con un po’ di welfare in più.

Diamo al diavolo quel che è del diavolo e diciamolo chiaramente: almeno negli ultimi decenni, e almeno in Europa occidentale, in nessun altro momento della storia umana una percentuale così alta di popolazione ha goduto di tanta relativa libertà, ricchezza, sicurezza eccetera. Ora queste conquiste sono gradualmente rimesse in discussione. Voglio solo dire che l’unico modo per salvare gli acclamati valori del liberalismo è fare qualcosa di più. Non sono contrario alla beneficenza in astratto. È meglio di niente. Però dobbiamo essere consapevoli che contiene un elemento di ipocrisia. È ovvio che dobbiamo aiutare i bambini. È terribile vedere che la vita di un bambino può essere distrutta perché i genitori non possono pagare un’operazione che costa 20 dollari. Ma come avrebbe detto Oscar Wilde, a lungo andare, se ci limitiamo a curare i bambini loro vivranno un po’ meglio però si ritroveranno sempre nella stessa situazione".

Traduzione di Giuseppina Cavallo.

Internazionale, numero 869, 22 ottobre 2010


sabato 18 giugno 2011


La soluzione definitiva
al problema della disoccupazione


Dal libro "Un mondo peggiore è possibile" di Ernesto Screpanti, docente di Economia politica presso l'Università di Siena.

In questo capitolo illustrerò una grande scoperta scientifica fatta recentemente all'Università di Chicago, una scoperta che potrebbe contribuire a risolvere definitivamente il problema della disoccupazione nei paesi industrializzati.
Il contratto di schiavitù è un patto col quale i lavoratori assumono un obbligo all' obbedienza perpetua nei confronti della controparte e rinunciano a negoziare il salario e le condizioni di lavoro, ricevendo in cambio un reddito di sussistenza vita natural durante. La controparte acquista un diritto di proprietà sul lavoratore. Cosa succederebbe se tale contratto fosse permesso? Una percentuale non irrilevante di poveracci (tra i disoccupati, i sottoccupati, i precari, gli immigrati), lo accetterebbe subito volontariamente. Infatti la schiavitù offrirebbe a questi lavoratori molti vantaggi: innanzitutto, un miglioramento delle condizioni di vita per chi vive altrimenti sotto la soglia della povertà; in secondo luogo un'assicurazione dalle avversità e dalle fluttuazioni economiche, il reddito dello schiavo rimanendo pressoché costante nel tempo; in terzo luogo un'assicurazione completa dalla disoccupazione, visto che all'impegno del lavoratore ad obbedire per sempre deve corrispondere un impegno del padrone a comandare per sempre. Ma la schiavitù può funzionare soltanto se anche i datori di lavoro traggono un qualche vantaggio da questo tipo di contratto. In cosa può consistere un tale vantaggio? Consiste nel fatto che il lavoratore, in quanto schiavo, diviene parte del capitale padronale e può essere iscritto a bilancio. Come attività patrimoniale esso ha un valore indipendente dal modo in cui viene usato individualmente: il valore che viene determinato sul mercato degli schiavi di seconda mano. Questo, si noti, sarebbe un mercato perfettamente concorrenziale, dal momento che non esisterebbero sindacati. Ciò comporta che il padrone può tenere lo schiavo fin che gli serve e rivenderlo a un prezzo remunerativo quando non gli serve più. Inoltre l'obbligo all' obbedienza perpetua garantisce una perfetta flessibilità del lavoro e perciò un uso ottimale di questa risorsa. Peraltro, siccome il capitale umano incorporato nel lavoratore diventa di proprietà del padrone, questi avrebbe ogni convenienza a valorizzarne le capacità lavorative. Farebbe i necessari investimenti nell' istruzione e nell' addestramento dei lavoratori più dotati, migliorando anche per questo verso l'efficienza nell'uso delle risorse. Poiché tale tipo di contratto piacerebbe probabilmente ai padroni più del contratto di lavoro, la domanda di schiavi aumenterebbe rapidamente, mentre diminuirebbe la domanda di lavoratori salariati. CosÌ, i posti di lavoro per questi ultimi si ridurrebbero e le loro condizioni economiche peggiorerebbero in assoluto e relativamente a quelle degli schiavi. Di conseguenza sempre più lavoratori sarebbero disposti ad accettare volontariamente il contratto di schiavitù e l'offerta si adeguerebbe rapidamente alla domanda. Al limite, dopo un certo periodo di tempo, presumibilmente non molto lungo, tutti i lavoratori sarebbero ridotti in schiavitù. Quindi un sistema economico basato sulla libera schiavitù sarebbe robusto e stabile.
La nuova istituzione garantirebbe anche la piena occupazione. Infatti l'esistenza di un mercato e di un valore di equilibrio di seconda mano rende superfluo il licenziamento. D'altra parte, dato il basso costo di questo tipo di risorsa, nessun proprietario avrebbe alcun disincentivo a comprare schiavi al prezzo di mercato. E poiché l'obbligo all' obbedienza totale rende il lavoro perfettamente flessibile, ogni imprenditore avrebbe un incentivo ad assumerne quanti più può. L'unico limite alla piena occupazione sarebbe costituito dalla disponibilità di capitale. Ma, poiché il salario dello schiavo è per legge naturale un reddito di sussistenza, l'intensità capitalistica delle tecniche sarebbe minima, la profittabilità nell'uso degli schiavi sarebbe massima, molto elevato sarebbe il tasso di crescita e rapidissimo il processo di raggiungimento della piena occupazione. Sembra che a un recente incontro del G8 si sia segretamente discusso dell' opportunità di introdurre questa innovazione in tutti i paesi più industrializzati. Il FMI sta studiando il modo per convincere il più gran numero di nazioni a sottoscrivere lettere d'intenti in cui si impegnano a varare l'innovazione nei tempi più rapidi possibili. L'Accademia di Svezia ha già messo all' ordine del giorno la proposta di assegnare il premio Nobel per l'ideologia all' economista di Chicago che ha elaborato la nuova teoria della libera schiavitù. Il grande merito di Milton Friedwhip (1997), l'economista in questione, non consiste solo nell' aver fatto questa scoperta, ma anche nell' aver dimostrato che la ibera schiavitù non è in contrasto con la migliore tradizione del pensiero liberale, anzi che ne è l'estremo logico approdo. Infatti uno Stato che non vuole intromettersi nell' economia, e che si limita ad accertare e garantire la legittimità dei titoli generati dalle transazioni private, non può proibire a nessuno di firmare liberamente un contratto di schiavitù. Inoltre il professor Gary Checker (1998) ha dimostrato che l'innovazione garantirebbe un miglioramento di efficienza paretiana e dovrebbe quindi essere accettata unanimemente. Infatti la riduzione di un disoccupato in schiavitù non ridurrebbe il benessere dei padroni (altrimenti non comprerebbero schiavi), ma aumenterebbe senz'altro quello dei lavoratori, i quali se non fossero schiavizzati dovrebbero vivere al disotto della soglia di sussistenza.
C'è di più. Il professar Domenico Sordo (1999) dell'Università di Milano, ha svolto una ricerca storica in cui, a scorno delle anime belle della sinistra, dimostra che l'innovazione in questione non è in contrasto neanche con la migliore tradizione del Komintern, Essendo stata anticipata con i metodi di organizzazione del lavoro adottati in Unione Sovietica nei primi piani quinquennali - quei metodi che hanno consentito al sistema socialista di raggiungere rapidamente la piena occupazione già negli anni Trenta, quando i paesi capitalisti erano in profonda depressione. Forte di questa lezione storica, il professor Sordo si è messo quindi alla ricerca di una giustificazione scientifica. E ha trovato che i meriti della schiavitù, prima di essere riscoperti dalla moderna scuola di Chicago, furono studiati con rigore da Friedrich Engels e Karl Marx. Ecco cosa dice Engels (1970, p. 289):
«Lo schiavo è venduto una volta per sempre; il proletario deve vendere se stesso giorno per giorno, ora per ora. Il singolo schiavo, proprietà di un solo padrone, ha l'esistenza - per miserabile che possa essere - assicurata già dall'interesse di questo stesso padrone; il singolo proletario, proprietà per così dire dell'intera classe dei borghesi, al quale il lavoro viene acquistato solo se qualcuno ne ha bisogno, non ha l'esistenza assicurata [...] Lo schiavo può quindi avere un' esistenza migliore del proletario.»
Engels ha dunque capito quali sono i vantaggi che la schiavitù può arrecare ai lavoratori. Marx (1971, pp. 284-285), da parte sua, ha messo in evidenza quelli che essa offre allo sviluppo economico:
«Non occorre che vi parli dei lati buoni e cattivi della libertà o dei lati cattivi della schiavitù. L'unica cosa che si deve spiegare è il lato bello della schiavitù [...] La schiavitù diretta è il premio dell'industrializzazione odierna non meno della macchina, del credito ecc. Senza schiavitù non c'è cotone; senza cotone non c'è industria moderna. La schiavitù ha dato alle colonie il loro valore; le colonie hanno creato il commercio mondiale; il commercio mondiale è la condizione necessaria per !'industria meccanizzata su larga scala [...] La schiavitù è perciò una categoria economica della massima importanza. Senza schiavitù l'America del Nord, il paese più progredito, si trasformerebbe in un paese patriarcale. Cancellate l'America del Nord dalla carta delle nazioni e avrete l'anarchia, la decadenza totale del commercio e della civiltà moderna.»
Dunque la schiavitù, oltre a massimizzare il benessere dei lavoratori, è un fattore di progresso industriale e di civiltà. Così, suggerisce il professor Sordo, si dimostra che la terza via non mira tanto a superare la prima e la seconda quanto a rivelarne l'intima profonda unità. I politici democratici ma di sinistra vadano tranquilli; le leggi sulla flessibilità del lavoro possono essere varate senza problemi morali dai partiti laburisti oltre che da quelli liberali, essendo anticipazioni di riforme avanzate.


Fonte: odradek.it

In Altre Parole: "Profezia che si autoavvera o costruzione lenta ed inevitabile?"