venerdì 30 settembre 2011

Un netturbino

Quella che segue è una cronaca di vita quotidiana che muta nel tempo, ma non nella sostanza.

“Come bellezza è bellissima ma sudicia è. Nella periferia sudicia ma anche nel centro, secondo i punti. In via Maqueda, si mantiene pulita; in via Roma o in Via Libertà si mantiene pulita. Ma già la via Carini è sudicia e quasi tutto il resto della città è sudicio. Questa è una città che, tranne gli operai, si sveglia con ritardo. Alle quattro, alle cinque, non c’è nessun movimento. Verso le sei nella periferia incomincia qualche venditore ambulante, chi vende scope, chi verdura, scende qualche paniere con la corda dai balconi […] la massa di noi incomincia alle sei e mezzo. Se il mio rione è qua, ma devo andare a scaricare lontano, ci metto un’ora ad arrivare. Quando torno l’immondizia è tanta come quella che avevo già levata prima. Si figuri, io faccio la spazzata qui, questo è il mio tratto, nel frattempo che io ho finito il mio tratto, già dietro mi hanno buttano le immondizie. Posso tornare indietro a raccogliere in via Maqueda, nei posti centrali dove c’è la signoria. Nei posti secondari come piazza Capo e piazza Garraffello, dove c’è da arricciarsi la carne come i ricci, devo proseguire sempre, piglio dritto. A volte, quando la macchina non torna la immondizia la mettiamo lì ammucchiata per l’indomani nelle strade, in un vicolo, si deve buttare sempre nel posto più povero, tra i piedi e sotto il naso della gente più povera. […] Il Municipio dà l’appalto alla Vaselli ma questa per risparmiare e guadagnare di più non è attrezzata ai servizi e non fa il servizio dovuto. […] io oggi sono a riposo e al posto mio dovrebbe sostituirmi un altro. Viceversa nel mio posto non mettono nessuno, lo lasciano scoperto, viene da lei il sorvegliante e le dice: “Netturbino, prolunga al posto scoperto”, e così dice ad un altro netturbino di prolungare, e l’impresa Vaselli i soldi ci rimangono nella tasca anche se i netturbini fanno fatica, molta gente ci odia, ci malvede malgrado la nostra buona volontà, e le strade rimangono sporche. […] Se dà un colpo di scopa la polvere si alza e va nelle gambe anche del pubblico, sta bene? Ormai noi ne abbiamo il naso pieno e quasi non ci fa impressione. All’inizio la si sente entrare nel naso, il puzzo, la si sente negli occhi, quando c’è vento bruciano gli occhi, quando si spazza la polvere entra fino in bocca, nelle orecchie dappertutto. […] La polvere va nelle calze, nelle scarpe, nei pantaloni, tra la polvere e il sudore i panni si intostano, diventano carta pesta. Uno scopa, scopa, sempre ci vengono idee nel cervello, scopa e ci vengono i pensieri della casa, ognuno scopa e pensa ai fatti suoi, quelli che ci ha nel suo cervello. […] Al centro, al Politeama, a piazza Massimo, nei locali snob la massa impiegatizia sta in giro anche fino le una o le due. Noi stacchiamo alle quattro e mezzo, gli stradini, uno si sente spezzettato, impolverato, sporco, ci sentiamo addosso l’odore della roba che abbiamo toccato, ci può venire l’intossico, ci bruciano gli occhi, certe volte ci pizzica la pelle, quando fa freddo e ci viene addosso l’acqua ci può venire i reumatismi: non possiamo certo andare in giro a divertirci fino a mezzanotte o alle due, alle otto io sono già a letto. Quando noi si sciopera la città diventa un pantano, in due giorni non si può più camminare, carta, rifiuti, mosche, bambini tra le immondizie, ma siamo costretti certe volte a scioperare per i nostri diritti, anche se ci dispiace vedere la città così. […] Mi piacerebbe vedere tutta la città pulita, è la mia città nativa, ci voglio bene. […] Ce ne sono tanti che ci invidiano e vorrebbero il nostro posto! Per poter entrare sicuri bisogna essere capaci di procurare tanti voti a un consigliere comunale amico, al tempo delle elezioni. Siccome qui manca l’industria, uno dei sogni della gente dei quartieri poveri di Palermo è il netturbino, per avere il posto assiduo per tutto l’anno e gli assegni”.

tratto da Danilo Dolci, “Racconti Siciliani”, Sellerio 2008


lunedì 12 settembre 2011

Ipocrisia terroristica



“C’è una definizione funzionale di terrorismo (Internazionale), quella attualmente in uso. Significa terrore che viene attuato nei nostri confronti; questo è terrorismo, nient’altro passa attraverso i filtri. Per quanto ne so, è universalmente storico. […] Questo è in pratica universale tra le persone intellettuali ed educate come noi. Non sembra così nella storia, ma dovete ricordare chi la scrive la storia. Questo deve lasciarvi un po’ scettici. Se guardate alla storia vera, non quella scritta, credo che troverete che questa è la discussione, e potrei anche forse suggerire che è materia di ricerca per qualche intraprendente studente laureato, il quale aspira alla carriera di guidatore di taxi. […] Quello che conta è solo quando mettono in pratica quello che noi ufficialmente definiamo terrorismo. […] Se siamo onesti, c’è un dilemma. Una possibilità è riconoscere semplicemente che siamo totalmente ipocriti, e per questo dovremmo avere come minimo la decenza di smettere di parlare di diritti umani, giusto e sbagliato e così via; dobbiamo dire che siamo ipocriti e che abbiamo la forza, e che gestiremo il mondo con la forza; punto. Dimentichiamoci di tutto il resto. L’altra opinione è più difficile da perseguire, ma è imperativa, a meno che non si voglia contribuire a disastri ancora peggiori che probabilmente ci dovremo aspettare che arrivino”.

Noam Chomsky, 6 Febbraio 2002, Harvard University .


giovedì 8 settembre 2011

Bastardi senza padrone



Io sono seduto e guardo la televisione. Ma per essere preciso, guardo il tg alla televisione. Non importa se è il tg numero 1, 2, 3, 4, 5 o 113. La funzione sociale che accetto passivamente è uguale. Il tg snocciola dati: sulla borsa che va giù di tre punti percentuali, la disoccupazione ai massimi storici, i tagli all’istruzione alla sanità e le galere stracolme di uomini e donne. In verità, sulle galere non ci dicono molto. La galera è quella faccia sporca che bisogna mostrare poche volte, giusto per fare vedere che esiste un posto peggiore rispetto alla condizione che vivi tu in questo preciso istante e che se entri lì, la gente si scorda di te. Non esisti più. Terrore per l’uomo e la donna di strada ed amnesia istituzionale nei confronti di quegli uomini e quelle donne che una volta rinchiusi dentro, diventano matricole. Brutti numeri insomma.

Io sono seduto e guardo la televisione. E non ricordo se è stato il tg o il giornale ad informarmi sul fatto che in Italia la capienza regolamentare delle carceri è di 45.681 posti, ma tra italiani e stranieri i detenuti (uomini e donne) sono circa 66.942. Ci sono 21.261 detenuti (uomini e donne) in più rispetto a quanti ne preveda la legge, la stessa legge che li ha rinchiusi dentro, ma non per punirli, intimidirli o per rubare loro la dignità e quel che è rimasto della loro esistenza. No. La legge li ha messi dentro per recuperarli e reinserirli. Un po’ come si usa fare con i cani senza padrone. Cani randagi li chiamano. Anche se poi, il cane, quello che esprime la sua vera natura, è proprio quello. Insomma il randagio, il bastardo, quello senza padrone. Così se non hai un padrone da ubbidire, ti prendiamo, ti rinchiudiamo in cella, ti ripuliamo e ti castriamo prima di rimetterti in libertà.

Io sono seduto e guardo la televisione. In realtà, non la guardo neanche. La ascolto soltanto, mentre consumo il mio pasto, che poi è uguale al pasto del mio vicino di posto sulla sinistra. E sembra uguale al pasto che abbiamo mangiato ieri assieme al mio vicino di posto di sinistra ed al mio vicino di posto di destra. Però oggi è diverso. Oggi il mio vicino di posto di destra non sta seduto alla mia destra. Non sta seduto proprio. Lo hanno trovato stanotte impiccato nella sua cella. Ha usato un lenzuolo per impiccarsi. L’unica cosa che so del ragazzo, perché me l'ha detto lui, è che era rumeno. Non conoscevo il suo nome e neanche il motivo per cui si è seduto sempre accanto a me, alla mia destra, per mangiare i suoi pasti. Non abbiamo avuto il tempo di scambiarci i nomi. Sette giorni in cella e si è appeso ad un lenzuolo.

Io ero seduto e guardavo la televisione. Il tempo del pasto è terminato. Adesso sto in piedi nella mia cella affollata.

“La libertà non si può e non si deve difendere che con la libertà. È un pericoloso controsenso limitarla con lo specioso pretesto di proteggerla e, siccome la morale non ha altra origine, altro stimolo, altra causa, altro scopo, se non la libertà, siccome la morale stessa non è altro che la libertà, ogni restrizione che si è fatta alla libertà, allo scopo di proteggere la morale, è sempre tornata a detrimento di quest’ultima. […] L’esperienza ci insegna, dice l’illustre statistico Quételet, che la società prepara sempre i crimini e che i malfattori sono i fatali strumenti che li compiono”.

Anno 1865, in Italia, Michail Aleksandrovic Bakunin.