domenica 25 dicembre 2011

Perchè mi rilassa...

Mi rilassa pensare che posso avere fede, quindi posso dare fiducia al mio vicino, alla mia vicina, insomma all’uomo ed alla donna. Ad una parte del genere umano. Non tutto il genere umano, perché la stupidità e la paura a volte prendono il posto dei sentimenti e delle azioni più umane.

Mi rilassa perché credo che non sia una forza misteriosa, un occhio in un triangolo o un vecchio dal barbone candido che progetti ed osservi le nostre imprevedibili assurdità quotidiane, bensì il caso… misto ad amore, impegno, amicizia e lavoro.

Mi rilassa parlare del domani con la serenità di chi non ha nulla da perdere e vuole continuare a camminare a testa alta, anche con un solo soldo in tasca, perché ha deciso di non vendere la propria dignità al trafficante di felicità a buon mercato, perché oggi ha deciso che domani guarderà la sua piccola figlia negli occhi e le dirà “io ho fatto del mio meglio... e quando ho commesso degli errori non è mai stato per egoismo”.

Mi rilassa vedere due amici che ridono, due amanti che si baciano e due anziani che si tengono per mano.

Mi rilassa il sapere che dopo la nostra esistenza rimarrà solo una cosa, forse la più importante… il ricordo presso le persone che c’hanno realmente amato e stimato per quello che facevamo ed eravamo.

Mi rilassa conoscere fratelli e sorelle con quella voglia ardente di Libertà ed Organizzazione che li porta ad unirsi e chiamarsi, giusto per fare un esempio, NO TAV!


In Altre Parole: “I NO TAV non credono più a Babbo Natale. Se sentono dei rumori nel camino, sanno benissimo che è la DIGOS” (E’ tutta colpa dei No Tav)

mercoledì 9 novembre 2011

Il nemico è la democrazia


"Voglio conversazione politiche più serie.
Le Corporation fuori dai governi e le persone dentro.
La pace e non la militarizzazione.
Tassazione superiore per i ricchi e denaro per l'istruzione.
Giustizia economica.
Parlare con la mia voce senza avere paura di perdere il lavoro.
Maggiore regolamentazione delle banche e dei mercati.
Che i bambini possano avere un lavoro ed assistenza sanitaria.
Vera democrazia per il 99% della popolazione."

(sottotitoli al video sopra pubblicato)


Le proteste a Wall Street e davanti alla cattedrale di St. Paul sono simili, secondo Anne Appelbaum sul Washington Post, “per la loro mancanza di focus, per la loro natura confusa e soprattutto per il loro rifiuto di occuparsi delle istituzioni democratiche”. “A differenza degli egiziani della piazza Tahrir”, continua la Appelbaum, “ai quali i protestatari di Londra e New York si paragonano apertamente (e in modo ridicolo) noi abbiamo delle istituzioni democratiche”.

Una volta ridotta la protesta della piazza Trahir ad una richiesta di democrazia stile Occidentale, come fa la Appelbaum, diviene ovviamente ridicolo paragonare le proteste di Wall Street agli eventi in Egitto: come fanno i dimostranti in Occidente a chiedere qualcosa che hanno già? Ciò che nasconde è la possibilità di uno scontento generale nei confronti del sistema capitalista globale che assume qua e là forme differenti.

“Eppure in un certo senso”, ammette, “il fallimento del movimento internazionale Occupy nel produrre delle chiare proposte legislative è comprensibile: sia le fonti della crisi economica globale che le sue soluzioni si trovano, per definizione, al di fuori della competenza degli uomini politici locali e nazionali.” E’ costretta a concludere che “la globalizzazione ha evidentemente cominciato a minare la legittimità delle democrazie Occidentali.” E questo è esattamente ciò su cui i dimostranti stanno attirando l’attenzione: che il capitalismo globale mina la democrazia. L’ulteriore conclusione logica è che dovremmo cominciare a pensare a come espandere la democrazia al di là della sua forma attuale, basata su stati nazione multi-partitici, che si è dimostrata incapace di gestire le conseguenze distruttive della vita economica. Tuttavia, anziché compiere questo passo, Appelbaum sposta la colpa sui protestatari stessi che pongono questi problemi:

Gli attivisti “globali”, se non fanno attenzione, accelereranno quel declino. I dimostranti a Londra gridano: «Ci serve un procedimento!” Ebbene, ne hanno già uno: si chiama sistema politico britannico, e se non si rendono conto di come utilizzarlo non faranno altro che infiacchirlo ulteriormente.

Per cui, il discorso di Appelbaum sembrerebbe: dal momento che l’economia globale è al di fuori dell’ambito della politica democratica, qualunque tentativo di espandere la democrazia per gestirla accelererà il declino di quest’ultima. E dunque che cosa dovremmo fare? Continuare ad impegnarci, pare, in un sistema politico che, secondo il suo resoconto, non è in grado di fare quel che deve.

Al momento le critiche anti-capitalistiche non mancano: siamo inondati di storie su aziende che spietatamente inquinano il nostro ambiente, su banchieri che sguazzano in bonus esosi mentre le loro banche sono salvate grazie al denaro pubblico, sugli sweatshop nei quali i bambini fanno straordinari per produrre indumenti a basso costo per i grandi magazzini. Ma c’è un tranello. L’assunto è che la lotta contro simili eccessi debba svolgersi all’interno della nota cornice liberal-democratica. Lo scopo (implicito o esplicito che sia) è quello di democratizzare il capitalismo, di estendere il controllo democratico sull’economia globale attraverso la pressione dell’esposizione ai media, le inchieste parlamentari, leggi più severe, indagini della polizia, eccetera. A rimanere indiscussa è la struttura istituzionale dello stato democratico borghese. Essa resta sacrosanta anche nella forma più radicale di “anticapitalismo etico”, quello del forum di Porto Alegre, del movimento di Seattle e via dicendo.

Qui l’intuizione chiave di Marx resta pertinente oggi come lo è stata sempre: la questione della libertà non dovrebbe essere posta principalmente nella sfera politica, ad esempio in cose quali libere elezioni, un potere giudiziario indipendente, una stampa libera, il rispetto dei diritti umani. La vera libertà si trova nella rete “apolitica” delle relazioni umane, dal mercato alla famiglia, dove i mutamenti necessari all’apporto di cambiamenti non è la riforma politica, ma un mutamento nei rapporti sociali di produzione. Non si vota per decidere chi possiede cosa, o sui rapporti tra gli operai in una fabbrica. Cose del genere sono demandate a dinamiche che esulano dalla sfera politica ed è un’illusione che si possa mutarle con l”estendere” la democrazia: con il creare, ad esempio, delle banche “democratiche” sotto il controllo del popolo. I cambiamenti radicali in questo ambito dovrebbero essere compiuti al di fuori di simili dispositivi democratici, quali i diritti giuridici eccetera. Hanno un ruolo positivo da svolgere naturalmente, ma è necessario tenere a mente che i meccanismi democratici fanno parte di un apparato statale borghese congegnato in modo da assicurare il funzionamento indisturbato della riproduzione capitalistica. Badiou aveva ragione ad affermare che oggi il nome del nemico estremo non sono capitalismo, impero, sfruttamento o alcunché di questo genere, ma democrazia: è l’”illusione democratica”, l’accettazione di meccanismi democratici gli unici mezzi legittimi di cambiamento, che previene un’autentica trasformazione nei rapporti capitalistici.

Le proteste di Wall Street sono solo un inizio, ma è così che bisogna cominciare, con un gesto formale di rifiuto che è più importante del proprio contenuto positivo, perché solo un gesto del genere può creare lo spazio per contenuti nuovi.
Dunque non dovremmo lasciarci distrarre dalla domanda: “Ma cos’è che vuoi?” Questa è la domanda che l’autorità maschile rivolge alla donna isterica: “Tutto questo lamentarti e piagnucolare… Hai insomma un’idea di quello che veramente vuoi?” In termini psicoanalitici, le proteste sono un’esplosione isterica che provoca il padrone, minando la sua autorità, e la domanda del padrone “Ma che cosa vuoi?” nasconde il proprio sottotesto: “Rispondimi secondo i miei criteri o taci!” Finora, quelli che protestano sono riusciti a evitare di esporsi alle critiche rivolte da Lacan agli studenti del 1968: “Come rivoluzionari, siete degli isterici che chiedono un nuovo padrone. Lo avrete”.

Slavoj Žižek


Tradotto da Leonardo Clausi su Inner. City. Living



venerdì 4 novembre 2011

I bambini cattivi dell'Ue


La mia amica, Elenìca, mi scrive dal suo Paese: la Grecia. Come nei post precedenti (“Vi racconto la Grecia” e “Debitocrazia”) non ci sono buone notizie.

Cara Elenìca, anche io, come tu stessa scrivi, non so quel che ci attende, però mi auguro per tutti noi, una vera lotta alle ingiustizie sociali!

Buona lotta e tanto coraggio!

“Ciao Enzo,

non so come descrivere la situazione... tutto cambia ogni giorno, sempre in peggio. Non è un tema di episodi di violenza, ora penso che non è più un tema di debito!!

In principio (1 o 2 anni fa) forse si potevano fare dei piccoli passi. Per esempio in questi mesi cominciano a dare terra pubblica da coltivare, con affitti molto bassi. Questo andava fatto prima. Ed ora, io non sono sicura se questa terra la daranno a gente che ha un reale bisogno o ai grandi proprietari che pagheranno qualcosa in più. 1 o 2 anni fa lo stato ha cominciato a dare l’autorizzazione per installare impianti fotovoltaici. Molti volevano partecipare perché il profitto era assicurato. Alcuni hanno comprato la terra per poter partecipare. A Kavala, la mia città, invece di dare la priorità a molte piccole installazioni, la PPC (Public Power Corporation) ha dato l’autorizzazione a pochissimi grandi proprietari.

Perché lo stato non ha dato un’opportunità alla gente per respirare?

Tali cose mi fanno confondere.

Allora, queste le ipotesi:

  1. La Grecia non ha denaro, però i politici greci non sono stati in grado di vedere neanche le cose semplici che potevano fare, oppure;
  2. La Grecia ha abbastanza denaro per non essere nella posizione nella quale la collocano, però è un buon tema per cambiare l’economia politica in generale contro la gente, o ancora;
  3. La Grecia non ha denaro, i politici greci non sono capaci di migliorare la situazione e tutto questo è una bella opportunità per gli stati potenti di cambiare l’economia in generale, contro il popolo.

Cosa ne pensi tu? Difficile?

L’Europa ha il diritto di decidere tutto. Tutti ammettono che la politica economica, che l’Unione Europea ed il FMI hanno sfogato nei confronti della Grecia, ha di fatto peggiorato la situazione, mentre il popolo fa sacrifici sempre più difficili. Ed ora, che il primo ministro ha chiesto un referendum - che i politici greci non volevano - gli europei fanno ancora questioni! Prima era se volevamo il nuovo accordo, che sarà ancora più duro. Dopo l’intervento di Francia e Germania la questione è se vogliamo essere nell’Euro o no. Alla fine il referendum non ci sarà. Cioè: “la politica che vogliamo per voi non va. Prendete ancora di più. Se no, non c’è niente da discutere, andate via dall’Euro”.

Sembra che presto arriveranno le elezioni, però non ci danno speranza. Non c’è nessuno di meglio da votare, secondo me. E mi sembra che nessuno vorrebbe essere primo ministro ora! Non sono una "io non pago" ma sono già in molti, anche quelli che non hanno da pagare. Non è più un tema ideologico ma un tema pratico.

Siamo il gioco dei grandi d’Europa, anche di quelli che non hanno mai pagato il danno che hanno fatto nel passato alla nostra economia ed alla nostra storia.

Quando la Grecia ha fatto il Mnemonium per il prestito, la Francia voleva continuare l’accordo con la Grecia per l’acquisto di attrezzature militari. Cioè: “non avete denaro, prendete il prestito per pagare anche il nostro accordo”. Allora dov’era la paura europea per la caduta dell’Euro?

Enzo, se io so che tu non hai da pagarmi e se questo è pericoloso per il mio affare, qual è il mio grande sacrificio mentre continuo a farti comprare delle armi?

Siamo ancora i “bambini cattivi” dell’Unione Europea, però nella via dell’Argentina: ogni volta che arriva il periodo per prendere una dose del prestito, vengono stabiliti nuovi requisiti economici. Non sappiamo quale volta sarà l’ultima.

Ora Papandreou chiederà il voto di fiducia e la formazione di un governo comune. Forse sapremo stasera o domani. La Grecia ha bisogno di cambiare tutte le persone del passato. Tutte. E poi? Non lo so. Siamo dentro un’onda che nessuno sa dove va ed è un po’ tardi per riprendere il controllo. Sento che niente dipende da noi. Tutto mi sembra già scritto e noi, il popolo, non sappiamo cosa ci sarà per il nostro paese.

Le mie parole, il mio italiano e le mie informazioni forse non bastano, però so che l’Italia fa la sua propria lotta. Cos’altro possiamo aspettare?

Ciao Enzo.

Un abbraccio,

Elenìca 03 Novembre 2011”




sabato 8 ottobre 2011

Vecchia tenacia e giovane frivolezza


Sono fermo ed il semaforo pedonale è rosso. Anche le mie mani sono rosse e rattrappite dal freddo. Oggi fa proprio freddo, anche se c’è il sole ed il cielo è azzurro. Ecco cosa ho dimenticato questa mattina uscendo da casa: i guanti, i guanti ho dimenticato. E dire che da ragazzino non li dimenticavo mica i guanti. Dovevo metterli dopo aver infilato giubbotto, sciarpa e berretto. Non c’era molto da dimenticare in effetti. Non avevo neanche la cartella per andare a scuola.

Sono fermo ed il semaforo pedonale è arancione. Sento rumori in fondo al corso. Mi sporgo sul lato sinistro e vedo in lontananza un camioncino. Dietro il camioncino c’è tanta gente. Però non riesco a capire cos’è quella gran folla. Forse c’è una parata militare? Sento della musica. Non può essere una parata, vedo tanti colori diversi vicini tra loro. Forse una sfilata? Il camioncino è più vicino. Ma una sfilata di cosa?

Sono fermo ed il semaforo pedonale è verde. Il camioncino adesso è vicino. Sul camioncino ci sono due uomini e una donna. Sono giovani. Anche la gran folla che segue il camioncino è una giovane fiumana. Sul camioncino ci sono anche degli attrezzi per fare musica ed un microfono. Il ragazzo con il microfono ha appena fatto un cenno al ragazzo con le cuffie davanti al tavolino e la musica si è abbassata. Parla alla calca.

Sono fermo ed il semaforo pedonale è arancione. I ragazzi e le ragazze che mi attraversano davanti sono giovani. Urlano, saltano, cantano, fumano, parlano al telefono, ridono, si spingono. Più sono vicino al camioncino più si spingono. Anche io alla loro età correvo dietro al camioncino. Spingevo i miei coetanei per recuperare del pane e qualche scatoletta. La guerra era brutta. Avevamo fame e freddo, ma ridevamo, correvamo e saltavamo dietro al camioncino.

Sono fermo ed il semaforo pedonale è rosso. Le mani bruciano un po’ per il freddo. I ragazzi invece non sentono freddo. Vedo alcuni in maniche corte. Le ragazzine portano gonne sopra il ginocchio. Leggo su uno striscione “Ora i conti li fate con noi!”. Un ragazzino porta a spasso una bottiglia di birra. Sono solo le 10.00 del mattino. Perché non ho attraversato prima? Ho solo perso tempo.

Cammino lungo il marciapiede verso il prossimo semaforo pedonale. Un ragazzo mi ha dato una spallata. Sicuramente non l’ha fatto di proposito, ma non si è nemmeno scusato. Mi fanno male le mani ed i sacchetti della spesa sembrano più pesanti quando hai le mani gelate. Alzo lo sguardo e vedo che il corteo alla mia destra è finito e sono arrivato al mio semaforo.

Non mi fermo, anche se il semaforo è arancione. Le mani mi fanno troppo male. Lavorare per più di trent’anni in catena di montaggio è logorante. Riuscirò ad arrivare prima che il semaforo diventi rosso. Ho male alle gambe. Ci sono quasi, sono quasi arrivato. È rosso. Il semaforo pedonale è rosso ed io sono arrivato alla meta. Ho il fiatone ma sono contento di avercela fatta.

Sto riprendendo fiato. Mi accorgo che un ragazzo con la cartella in spalla mi sta fissando. Forse è rimasto indietro nel corteo. Lo guardo e lui: “Fiiigaaa nonno! Sei veloooce!”. Scoppia a ridere e se ne va.

“La gioventù non sa quel che può, la maturità non può quel che sa” (José Saramago)

venerdì 30 settembre 2011

Un netturbino

Quella che segue è una cronaca di vita quotidiana che muta nel tempo, ma non nella sostanza.

“Come bellezza è bellissima ma sudicia è. Nella periferia sudicia ma anche nel centro, secondo i punti. In via Maqueda, si mantiene pulita; in via Roma o in Via Libertà si mantiene pulita. Ma già la via Carini è sudicia e quasi tutto il resto della città è sudicio. Questa è una città che, tranne gli operai, si sveglia con ritardo. Alle quattro, alle cinque, non c’è nessun movimento. Verso le sei nella periferia incomincia qualche venditore ambulante, chi vende scope, chi verdura, scende qualche paniere con la corda dai balconi […] la massa di noi incomincia alle sei e mezzo. Se il mio rione è qua, ma devo andare a scaricare lontano, ci metto un’ora ad arrivare. Quando torno l’immondizia è tanta come quella che avevo già levata prima. Si figuri, io faccio la spazzata qui, questo è il mio tratto, nel frattempo che io ho finito il mio tratto, già dietro mi hanno buttano le immondizie. Posso tornare indietro a raccogliere in via Maqueda, nei posti centrali dove c’è la signoria. Nei posti secondari come piazza Capo e piazza Garraffello, dove c’è da arricciarsi la carne come i ricci, devo proseguire sempre, piglio dritto. A volte, quando la macchina non torna la immondizia la mettiamo lì ammucchiata per l’indomani nelle strade, in un vicolo, si deve buttare sempre nel posto più povero, tra i piedi e sotto il naso della gente più povera. […] Il Municipio dà l’appalto alla Vaselli ma questa per risparmiare e guadagnare di più non è attrezzata ai servizi e non fa il servizio dovuto. […] io oggi sono a riposo e al posto mio dovrebbe sostituirmi un altro. Viceversa nel mio posto non mettono nessuno, lo lasciano scoperto, viene da lei il sorvegliante e le dice: “Netturbino, prolunga al posto scoperto”, e così dice ad un altro netturbino di prolungare, e l’impresa Vaselli i soldi ci rimangono nella tasca anche se i netturbini fanno fatica, molta gente ci odia, ci malvede malgrado la nostra buona volontà, e le strade rimangono sporche. […] Se dà un colpo di scopa la polvere si alza e va nelle gambe anche del pubblico, sta bene? Ormai noi ne abbiamo il naso pieno e quasi non ci fa impressione. All’inizio la si sente entrare nel naso, il puzzo, la si sente negli occhi, quando c’è vento bruciano gli occhi, quando si spazza la polvere entra fino in bocca, nelle orecchie dappertutto. […] La polvere va nelle calze, nelle scarpe, nei pantaloni, tra la polvere e il sudore i panni si intostano, diventano carta pesta. Uno scopa, scopa, sempre ci vengono idee nel cervello, scopa e ci vengono i pensieri della casa, ognuno scopa e pensa ai fatti suoi, quelli che ci ha nel suo cervello. […] Al centro, al Politeama, a piazza Massimo, nei locali snob la massa impiegatizia sta in giro anche fino le una o le due. Noi stacchiamo alle quattro e mezzo, gli stradini, uno si sente spezzettato, impolverato, sporco, ci sentiamo addosso l’odore della roba che abbiamo toccato, ci può venire l’intossico, ci bruciano gli occhi, certe volte ci pizzica la pelle, quando fa freddo e ci viene addosso l’acqua ci può venire i reumatismi: non possiamo certo andare in giro a divertirci fino a mezzanotte o alle due, alle otto io sono già a letto. Quando noi si sciopera la città diventa un pantano, in due giorni non si può più camminare, carta, rifiuti, mosche, bambini tra le immondizie, ma siamo costretti certe volte a scioperare per i nostri diritti, anche se ci dispiace vedere la città così. […] Mi piacerebbe vedere tutta la città pulita, è la mia città nativa, ci voglio bene. […] Ce ne sono tanti che ci invidiano e vorrebbero il nostro posto! Per poter entrare sicuri bisogna essere capaci di procurare tanti voti a un consigliere comunale amico, al tempo delle elezioni. Siccome qui manca l’industria, uno dei sogni della gente dei quartieri poveri di Palermo è il netturbino, per avere il posto assiduo per tutto l’anno e gli assegni”.

tratto da Danilo Dolci, “Racconti Siciliani”, Sellerio 2008