mercoledì 9 novembre 2011

Il nemico è la democrazia


"Voglio conversazione politiche più serie.
Le Corporation fuori dai governi e le persone dentro.
La pace e non la militarizzazione.
Tassazione superiore per i ricchi e denaro per l'istruzione.
Giustizia economica.
Parlare con la mia voce senza avere paura di perdere il lavoro.
Maggiore regolamentazione delle banche e dei mercati.
Che i bambini possano avere un lavoro ed assistenza sanitaria.
Vera democrazia per il 99% della popolazione."

(sottotitoli al video sopra pubblicato)


Le proteste a Wall Street e davanti alla cattedrale di St. Paul sono simili, secondo Anne Appelbaum sul Washington Post, “per la loro mancanza di focus, per la loro natura confusa e soprattutto per il loro rifiuto di occuparsi delle istituzioni democratiche”. “A differenza degli egiziani della piazza Tahrir”, continua la Appelbaum, “ai quali i protestatari di Londra e New York si paragonano apertamente (e in modo ridicolo) noi abbiamo delle istituzioni democratiche”.

Una volta ridotta la protesta della piazza Trahir ad una richiesta di democrazia stile Occidentale, come fa la Appelbaum, diviene ovviamente ridicolo paragonare le proteste di Wall Street agli eventi in Egitto: come fanno i dimostranti in Occidente a chiedere qualcosa che hanno già? Ciò che nasconde è la possibilità di uno scontento generale nei confronti del sistema capitalista globale che assume qua e là forme differenti.

“Eppure in un certo senso”, ammette, “il fallimento del movimento internazionale Occupy nel produrre delle chiare proposte legislative è comprensibile: sia le fonti della crisi economica globale che le sue soluzioni si trovano, per definizione, al di fuori della competenza degli uomini politici locali e nazionali.” E’ costretta a concludere che “la globalizzazione ha evidentemente cominciato a minare la legittimità delle democrazie Occidentali.” E questo è esattamente ciò su cui i dimostranti stanno attirando l’attenzione: che il capitalismo globale mina la democrazia. L’ulteriore conclusione logica è che dovremmo cominciare a pensare a come espandere la democrazia al di là della sua forma attuale, basata su stati nazione multi-partitici, che si è dimostrata incapace di gestire le conseguenze distruttive della vita economica. Tuttavia, anziché compiere questo passo, Appelbaum sposta la colpa sui protestatari stessi che pongono questi problemi:

Gli attivisti “globali”, se non fanno attenzione, accelereranno quel declino. I dimostranti a Londra gridano: «Ci serve un procedimento!” Ebbene, ne hanno già uno: si chiama sistema politico britannico, e se non si rendono conto di come utilizzarlo non faranno altro che infiacchirlo ulteriormente.

Per cui, il discorso di Appelbaum sembrerebbe: dal momento che l’economia globale è al di fuori dell’ambito della politica democratica, qualunque tentativo di espandere la democrazia per gestirla accelererà il declino di quest’ultima. E dunque che cosa dovremmo fare? Continuare ad impegnarci, pare, in un sistema politico che, secondo il suo resoconto, non è in grado di fare quel che deve.

Al momento le critiche anti-capitalistiche non mancano: siamo inondati di storie su aziende che spietatamente inquinano il nostro ambiente, su banchieri che sguazzano in bonus esosi mentre le loro banche sono salvate grazie al denaro pubblico, sugli sweatshop nei quali i bambini fanno straordinari per produrre indumenti a basso costo per i grandi magazzini. Ma c’è un tranello. L’assunto è che la lotta contro simili eccessi debba svolgersi all’interno della nota cornice liberal-democratica. Lo scopo (implicito o esplicito che sia) è quello di democratizzare il capitalismo, di estendere il controllo democratico sull’economia globale attraverso la pressione dell’esposizione ai media, le inchieste parlamentari, leggi più severe, indagini della polizia, eccetera. A rimanere indiscussa è la struttura istituzionale dello stato democratico borghese. Essa resta sacrosanta anche nella forma più radicale di “anticapitalismo etico”, quello del forum di Porto Alegre, del movimento di Seattle e via dicendo.

Qui l’intuizione chiave di Marx resta pertinente oggi come lo è stata sempre: la questione della libertà non dovrebbe essere posta principalmente nella sfera politica, ad esempio in cose quali libere elezioni, un potere giudiziario indipendente, una stampa libera, il rispetto dei diritti umani. La vera libertà si trova nella rete “apolitica” delle relazioni umane, dal mercato alla famiglia, dove i mutamenti necessari all’apporto di cambiamenti non è la riforma politica, ma un mutamento nei rapporti sociali di produzione. Non si vota per decidere chi possiede cosa, o sui rapporti tra gli operai in una fabbrica. Cose del genere sono demandate a dinamiche che esulano dalla sfera politica ed è un’illusione che si possa mutarle con l”estendere” la democrazia: con il creare, ad esempio, delle banche “democratiche” sotto il controllo del popolo. I cambiamenti radicali in questo ambito dovrebbero essere compiuti al di fuori di simili dispositivi democratici, quali i diritti giuridici eccetera. Hanno un ruolo positivo da svolgere naturalmente, ma è necessario tenere a mente che i meccanismi democratici fanno parte di un apparato statale borghese congegnato in modo da assicurare il funzionamento indisturbato della riproduzione capitalistica. Badiou aveva ragione ad affermare che oggi il nome del nemico estremo non sono capitalismo, impero, sfruttamento o alcunché di questo genere, ma democrazia: è l’”illusione democratica”, l’accettazione di meccanismi democratici gli unici mezzi legittimi di cambiamento, che previene un’autentica trasformazione nei rapporti capitalistici.

Le proteste di Wall Street sono solo un inizio, ma è così che bisogna cominciare, con un gesto formale di rifiuto che è più importante del proprio contenuto positivo, perché solo un gesto del genere può creare lo spazio per contenuti nuovi.
Dunque non dovremmo lasciarci distrarre dalla domanda: “Ma cos’è che vuoi?” Questa è la domanda che l’autorità maschile rivolge alla donna isterica: “Tutto questo lamentarti e piagnucolare… Hai insomma un’idea di quello che veramente vuoi?” In termini psicoanalitici, le proteste sono un’esplosione isterica che provoca il padrone, minando la sua autorità, e la domanda del padrone “Ma che cosa vuoi?” nasconde il proprio sottotesto: “Rispondimi secondo i miei criteri o taci!” Finora, quelli che protestano sono riusciti a evitare di esporsi alle critiche rivolte da Lacan agli studenti del 1968: “Come rivoluzionari, siete degli isterici che chiedono un nuovo padrone. Lo avrete”.

Slavoj Žižek


Tradotto da Leonardo Clausi su Inner. City. Living



2 commenti:

  1. Complimenti Enzo, è un ottimo articolo

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  2. Avere uno sguardo critico aldifuori dei propri confini pseudonazionali è ormai roba rarissima...soprattutto in un periodo storico dove lo spirito critico è bloccato a causa dei mezzi utilizzati dai differenti sistemi di massa per nascondere la verità ed annullare l'accessibilità ad essa(dieci regole di Chomsky).
    Spero che queste voci continuino a circolare e che si moltiplichino, sperando che il potere deviato non le annulli nè tramite il compromesso, nè attraverso altre forme ugualmente violente.
    Un saluto caloroso.

    FM

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