giovedì 2 settembre 2010


Rientro nel girone



Dopo le vacanze estive, accompagnate dal totale disinteresse (voluto) per ciò che accadeva nel resto del mondo, si riaccende il pc e si ricomincia a leggere e scrivere. Non per tutti naturalmente. In Italia, non avranno più la fortuna di insegnare (a leggere e scrivere) ai loro alunni, quei docenti che da anni insegnavano e quelli che si apprestavano a farlo, perchè il modello "azienda privata" è sbarcato da un po' di tempo nel "settore" Cultura. Università, Scuole medie superiori, Scuole medie inferiori ed Asilo devono essere "gestiti con perfetta razionalità economica" ed avere una "concorrenza", per evitare situazioni di inefficienza e spreco del denaro pubblico. Parlando più terra terra: chi paga di più studia meglio, se gli va di studiare, altrimenti acquista gli esami e va bene uguale... il resto non è concorrenziale.
In fondo in fondo bisogna ammettere che leggere e scrivere non è poi un bisogno vitale. Prendete le donne e gli uomini delle caverne, non leggevano e non scrivevano, eppure mangiavano, bevevano, si amavano e campavano felici (più da morti che da vivi, visto gli anni che si campava allora)... comunque spero che tu sappia leggere, sennò per chi ho scritto fin qui?...
Rimanendo in tema di "bisogni vitali" è importante sapere che senza l'Acqua il corpo umano muore, ma è altrettanto onesto affermare che se qualcuno difende il Diritto di accesso all'Acqua, senza lucro, è tecnicamente più vicino alla morte... chiedete a Giuseppe Barbaro, Consigliere Comunale di Borgetto (Palermo).


In Altre Parole, citando Ascanio Celestini: "Gioite! Il futuro è una merda! E lo stanno costruendo per noi!"



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Oggi voglio ricordare: Calogero Cangelosi


Era la sera del 1° aprile 1948. Non faceva più freddo e la piazza di Camporeale pullulava di contadini, che discutevano animatamente tra loro. In quei giorni, l’argomento era sempre lo stesso: le elezioni politiche del 18 aprile e la «lezione» che la povera gente avrebbe potuto dare a "lorsignori", i padroni del feudo. Anche alla Camera del lavoro quella sera si era tanto parlato di questo, insieme alle lotte da organizzare per l’applicazione dei decreti Gullo sulla divisione del grano a 60 e 40 e sulla concessione alle cooperative contadine delle terre incolte e malcoltivate degli agrari. Poi, Calogero Cangelosi, quarantunenne segretario della Cgil, guardò l’orologio, si accorse che si era fatto tardi e salutò i presenti per tornare a casa. «Calogero, aspetta che ti accompagniamo noi», gli dissero Vito Di Salvo, Vincenzo Liotta, Giacomo Calandra e Calogero Natoli. Il loro non fu un gesto di cortesia, ma un modo per proteggere il dirigente sindacale, che era nel mirino della mafia. L’offerta di una «scorta», insomma. Tutti e cinque uscirono dalla sede della Camera del lavoro, che si trovava in piazza, e si avviarono verso via Perosi, dove Cangelosi abitava con la moglie, Francesca Serafino di 35 anni, e i suoi quattro figli: Francesca di 11 anni, Giuseppe di 5, Michela di 3 e Vita di appena 2 mesi. Erano quasi arrivati, quando dalla parte alta di via Minghetti, che faceva angolo con via Perosi, si udì un crepitare di mitra. Decine di colpi, sparati in rapida successione e ad altezza d’uomo, si abbatterono sull’intero gruppo. Colpito alla testa e al petto, Cangelosi cadde per terra, spirando all’istante. Anche Liotta e Di Salvo furono colpiti e feriti gravemente. Miracolosamente illesi rimasero, invece, Calandra e Natoli. Erano le 22.30. Il rumore degli spari attirò tanta gente. Qualcuno capì quello che era accaduto ed andò di corsa a chiamare i cognati del sindacalista ucciso e i parenti dei due feriti. Questi ultimi furono trasportati all’ospedale, mentre Cangelosi fu portato nella casa del suocero. La moglie Francesca stava allattando la piccola Vita, seduta su una seggiola, quando arrivò un fratello a chiamarla. Immediatamente lasciò la neonata ad una vicina di casa e corse a casa del padre. Calogero era stato sdraiato sul letto, col corpo crivellato dai proiettili. Urla, scene di disperazione. Poi arrivarono i carabinieri, fecero le domande di rito e raccomandarono di non toccare il cadavere fino all’arrivo del magistrato per la perizia. Allora Camporeale faceva ancora parte della provincia di Trapani e passarono ben quattro giorni prima che un giudice del capoluogo si degnasse di mettere piede in paese. «Nel mentre mio marito era gonfiato tutto, fino a diventare irriconoscibile», avrebbe poi raccontato la moglie. Finalmente si poterono svolgere i funerali, a cui parteciparono tutti i contadini del paese e dei comuni del circondario. In mezzo a loro e accanto ai familiari di Cangelosi c’era anche il segretario nazionale del Partito Socialista, Pietro Nenni, venuto ad onorare il suo compagno di partito, 36esimo sindacalista assassinato dalla mafia in quegli anni del secondo dopoguerra. Il 35esimo era stato Placido Rizzotto a Corleone (10 marzo) e il 34° Epifanio Li Puma a Petralia Sottana (2 marzo). Disperazione e rabbia si toccavano con mano. Erano palpabili. «La sera del 16 aprile ’48 - racconta Nicola Cipolla, uno dei capi contadini siciliani di quel periodo - al comizio di chiusura della campagna elettorale, i mafiosi scomparvero tutti dalla piazza per paura dei contadini». Ed accadde un «miracolo»: il 18 aprile il «Fronte Democratico Popolare», composto dal Psi e dal Pci, fu sconfitto in tutta la Sicilia, ma non a Camporeale, dove ottenne ancora più voti delle regionali del ’47. Fu l’ultimo regalo di Calogero Cangelosi ai suoi contadini. Per quell’omicidio, la giustizia «ingiusta» di allora non riuscì nemmeno ad imbastire un processo. Nonostante tutti sapessero che a dare l’ordine di morte era stato il proprietario terriero "don" Serafino Sciortino, mentre a sparare ci avevano pensato il capomafia Vanni Sacco e i suoi «picciotti», si procedette contro «ignoti», che tali rimasero per sempre. Poi sulla vicenda cadde il silenzio.


Fonte: Dino Paternostro, Quotidiano “La Sicilia” del 30 marzo 2008, p. 39.







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