mercoledì 17 agosto 2011

Bella libertà

“Io volevo la Repubblica. Ma quale Repubblica? Non volevo una repubblica parlamentare. Il governo rappresentativo, le forme costituzionali, l’aristocrazia parlamentare e il cosiddetto equilibrio dei poteri in cui tutte le forze che agiscono si trovano così astutamente controbilanciate che nessuna di esse può agire realmente; in poche parole tutto questo catechismo politico cautelativo, angusto e volubile dei liberali occidentali non è mai stato oggetto né della mia adorazione, né della mia simpatia, né della mia stima”.

“Prendete il più sincero democratico e mettetelo su di un trono qualunque: diventerà immancabilmente una canaglia”.

“I furfanti manifesti non possono regnare smascheratamente se non che negli stati dispotici, perché non possono farsi accettare che con la forza. Ma nei paesi che si vantano di essere, o almeno di parere liberi, là dove è d’abitudine ingannare i popoli, per opprimerli, i furfanti, per non esporre la loro causa, e per raggiungere con più sicurezza ai medesimi fini, si servono delle genti oneste. Queste, soddisfatte di tale ossequio reso alla loro importanza, di rado mancano alla chiamata. Ordinariamente ne sono commosse a tal segno che sono pronte a giurare che i furfanti non sono tanto furfanti quanto si pensava. C’è del buono in essi, dicono al popolo sorpreso, si tratta solo di indirizzarli bene. Hanno finalmente compreso l’impossibilità del vecchio governo e ne sono pentiti, perciò ci hanno chiamati al potere. Infine eccoci, noi ora siamo garanti di tutto e, finché vi resteremo, potrete viver sicuri che non si farà più niente di cattivo. La ridicola garanzia, la vanità stupidamente raggiante di questa gente sarebbero state eccessivamente gioviali, se meno funesti ne fossero gli effetti. Saliti al potere, credono d’essere i padroni, ma in realtà ne sono i fantocci. Troppo deboli e troppo occupati di se stessi per penetrare a fondo le situazioni e le cose, sono soddisfatti dalle parole, e non vedono mai che, in nome degli interessi più liberali, commettono gli atti più reazionari. La prima cosa che domandano ai partiti, ai loro amici di ieri, che ai loro occhi diventano i sudditi di oggi, è di disorganizzarsi e di disarmare e di distruggere quella forza che li ha fatti salire e le mantiene al potere. “Noi ci siamo” dicono essi “che volete di più? Lo scopo supremo della lotta è raggiunto, la nostra presenza al potere non è per voi la migliore garanzia? Riponete dunque la spada nel fodero e, affidati alle nostre parole, ritornate ai vostri lavori quotidiani. Conservando più a lungo il vostro atteggiamento bellicoso, non fareste che imbarazzare il nuovo governo che ha bisogno di consolidarsi, gli impedireste solamente di effettuare tutte le grandi riforme di cui vogliamo dotare la nazione””.

“L’amore della libertà e un odio invincibile per qualsiasi oppressione, e un odio ancora più intenso quando questa oppressione concerneva altri e non me stesso. Cercare la mia felicità nella felicità degli altri, la mia dignità personale nella dignità di tutti coloro che mi circondavano, essere libero nella libertà degli altri, ecco tutto il mio credo, l’aspirazione di tutta la mia vita. Consideravo come il più sacro dei doveri di rivoltarmi contro qualsiasi oppressione, chiunque fosse l’autore o la vittima. Vi è sempre stato in me del Don Quichotte, non solamente nel politico, ma anche nella mia vita privata. Non potevo vedere con indifferenza la minima ingiustizia e a maggior ragione la peggior oppressione; molte volte, senza avere competenza e diritto, mi sono immischiato in modo irrazionale negli affari degli altri e ho anche commesso, nel corso di una esistenza agitata ma vuota e inutile, molte sciocchezze, sono andato incontro a molti dispiaceri e mi sono fatto molti nemici, senza odiare per così dire nessuno”.

In Altre Parole, continuando a citare Michail Aleksandrovic Bakunin: “il diritto alla libertà, senza i mezzi per realizzarla, non è che un fantasma. E noi amiamo troppo la libertà per contentarci del suo fantasma. Noi ne vogliamo la realtà”.


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